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BIRMANIA:UNA PROTESTA ESEMPLARE
di L'INFORMATORE
7 ottobre 2007 0:00
 
dal sito www.chiesavaldese.org una interessante ricapitolazione della storia recente della Birmania.

Una protesta esemplare
di Erberto F. Lo Bue

Aung San Suu Kyi, Nobel per la pace (1991), anima dell'opposizione birmana
L'opposizione al regime militare della Birmania grazie ai monaci buddhisti dilaga. Aung San Suu Kyi si ispira alla lotta non violenta di Gandhi e Martin Luther King


Ricordo Aung San Suu Kyi all'ingresso della casa di Oxford in cui conduceva una vita tranquilla con il marito, tibetologo insigne, e i due figli, durante il nostro incontro di circa 28 anni fa. Nessuno poteva allora immaginare il destino che attendeva quella mia quasi coetanea, colta, gentile e fine, cui dedicai un articolo apparso il 27 marzo 1992 sul settimanale La luce.

La via birmana al socialismo
Dal 1962 la Birmania è retta da una giunta militare corrotta, compromessa con i signori della droga che controllano il territorio del «Triangolo d'Oro». L'unico partito legale è quello del Programma socialista birmano, che teorizza la «via birmana al socialismo». Sia il regime sia la guerriglia che lo combatte sopravvivono grazie alla coltivazione del papavero e all'esportazione dell'80% dell'oppio da cui si ricava l'eroina che raggiunge Europa e Usa attraverso Cina e Hong Kong. Il maggiore investitore straniero in Birmania è il Giappone. La Cina, tradizionalmente riluttante ad applicare sanzioni economiche e desiderosa di evitare conflitti lungo i propri confini, è interessata sia alla posizione strategica della Birmania sull'Oceano Indiano, sia ai giacimenti di petrolio e gas al largo delle sue coste.
Nel 1988, proprio quando Suu tornò in Birmania per assistere la madre inferma, la svalutazione della moneta causò una prima sollevazione contro il regime. L'opposizione popolare, tribale, del clero buddhista e della minoranza musulmana (di cui 200.000 rifugiati vivono in condizioni penose in Bangladesh) trovò la sua espressione nel discorso tenuto a Rangoon da Aung San Suu Kyi il 25 agosto 1988. Le repressioni di quell'anno causarono tremila morti.

Una fede incrollabile
Ispirandosi a Martin Luther King e a Gandhi, Aung San Suu Kyi continuò la sua contestazione non violenta diffondendo il proprio messaggio in tutto il paese e trasformando il movimento di opposizione in un'organizzazione forte e coordinata, la Lega nazionale per la democrazia. Nel 1990, nonostante Suu fosse agli arresti domiciliari e migliaia di suoi seguaci venissero arrestati in tutto il paese, i dirigenti del Partito socialista birmano indissero libere elezioni, ricorrendo a ogni sorta di intimidazioni e nella certezza di vincerle; ma la Lega ottenne 392 dei 485 seggi al Parlamento. Tuttavia la giunta non cedette il potere, il nuovo Parlamento non fu mai convocato, e gli oppositori furono arrestati a migliaia.

Il premio non ritirato
L'anno successivo Suu ricevette il Premio Nobel per la Pace, che non ritirò poiché le autorità militari non le avrebbero consentito il rientro in Birmania. Per il medesimo motivo nel 1999 fu costretta a rinunciare a vedere per un'ultima volta il marito, malato di un male incurabile. Tenuta senza accuse e processo agli arresti domiciliari o in prigione per un totale di oltre undici anni, spesso privata del permesso di ricevere o inviare messaggi, dal 1988 a oggi raramente ha potuto incontrare i figli. Tuttavia, come mi spiegò il marito nel 1992, Suu possiede un carattere forte e razionale, ed è decisa a continuare con determinazione la sua lotta fino alla caduta del regime, da cui rifiuta di accettare denaro o favori, ritenendo che ciò servirebbe soltanto a prolungare la sua detenzione. Per lo stesso motivo non accettò alcun sostegno finanziario dal marito, e devolse il denaro assegnatole con il Premio Nobel e altri premi a un'associazione fondata per la salute e l'istruzione del popolo birmano.
Come Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi è diventata un simbolo internazionale di resistenza pacifica, mentre per il popolo birmano rappresenta un'icona della democrazia, la più credibile e forse unica speranza di liberarsi dall'oppressione della dittatura.

Il clero buddhista
I monaci costituiscono il 10% della popolazione e spesso provengono da famiglie povere, che inviano i figli nei monasteri per dar loro un minimo di istruzione, sfamarli e vestirli, oltre che per acquisire meriti. Il clero buddhista è tradizionalmente molto rispettato e i monasteri svolgono ruoli non soltanto religiosi ma anche sociali.
I monaci aderirono alla protesta del mese scorso dopo che l'esercito ebbe disperso con la forza una manifestazione pacifica occasionata dal raddoppio del prezzo di benzina e gasolio. In seguito al ferimento di tre dei loro, alcuni monaci chiesero alla giunta delle scuse prendendo temporaneamente in ostaggio alcuni funzionari, ma invano. Successivamente il loro coinvolgimento nella protesta aumentò non soltanto numericamente, ma anche qualitativamente, con il rifiuto di svolgere funzioni religiose per i militari e le loro famiglie, e quindi di riceverne offerte, un'azione grave perché impedisce ai fedeli di acquisire meriti in vista delle loro vite future.
La protesta è coordinata da un gruppo definitosi Alleanza di Tutti i Monaci Buddhisti Birmani, che ha emesso un comunicato in cui si descrive il governo militare come «nemico del popolo», si fa voto di proseguire la protesta finché «la dittatura militare sarà spazzata» e si sollecita l'adesione di tutti i birmani. Una delle dimostrazioni è passata accanto alla casa di Suu, collegando idealmente il movimento all'istanza di una svolta democratica. Il resto è storia di questi giorni.

Religione e politica
Sin dai tempi della monarchia, il clero birmano ha svolto un importante ruolo di mediazione fra sudditi e sovrani. I monaci furono in prima linea nelle proteste contro provvedimenti impopolari sotto il dominio britannico e poi nella rivolta del 1988, oltre che in quella odierna. Numerosi monaci sono incarcerati, anche se soltanto il 10% è politicizzato: molti, sparpagliati in un paese vasto oltre due volte l'Italia ma con una popolazione di soli 50 milioni di persone, sono probabilmente ignari dell'entità delle agitazioni. Se mobilitato in massa, tuttavia, il clero buddhista potrebbe rappresentare un serio pericolo per la giunta militare e il partito unico, analogamente al Fronte islamico di salvezza in Algeria e alla Chiesta cattolica in Polonia alla fine del secolo scorso.

Tratto da Riforma del 5 gennaio 2007


 
 
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