dal sito www.chiesavaldese.org una interessante
ricapitolazione della storia recente della Birmania.
Una protesta esemplare
di Erberto F. Lo Bue
Aung San Suu Kyi, Nobel per la pace (1991), anima
dell'opposizione birmana
L'opposizione al regime militare della Birmania grazie ai
monaci buddhisti dilaga. Aung San Suu Kyi si ispira alla
lotta non violenta di Gandhi e Martin Luther King
Ricordo Aung San Suu Kyi all'ingresso della casa di Oxford
in cui conduceva una vita tranquilla con il marito,
tibetologo insigne, e i due figli, durante il nostro
incontro di circa 28 anni fa. Nessuno poteva allora
immaginare il destino che attendeva quella mia quasi
coetanea, colta, gentile e fine, cui dedicai un articolo
apparso il 27 marzo 1992 sul settimanale La luce.
La via birmana al socialismo
Dal 1962 la Birmania è retta da una giunta militare
corrotta, compromessa con i signori della droga che
controllano il territorio del «Triangolo d'Oro». L'unico
partito legale è quello del Programma socialista birmano,
che teorizza la «via birmana al socialismo». Sia il regime
sia la guerriglia che lo combatte sopravvivono grazie alla
coltivazione del papavero e all'esportazione dell'80%
dell'oppio da cui si ricava l'eroina che raggiunge Europa e
Usa attraverso Cina e Hong Kong. Il maggiore investitore
straniero in Birmania è il Giappone. La Cina,
tradizionalmente riluttante ad applicare sanzioni economiche
e desiderosa di evitare conflitti lungo i propri confini, è
interessata sia alla posizione strategica della Birmania
sull'Oceano Indiano, sia ai giacimenti di petrolio e gas al
largo delle sue coste.
Nel 1988, proprio quando Suu tornò in Birmania per
assistere la madre inferma, la svalutazione della moneta
causò una prima sollevazione contro il regime.
L'opposizione popolare, tribale, del clero buddhista e della
minoranza musulmana (di cui 200.000 rifugiati vivono in
condizioni penose in Bangladesh) trovò la sua espressione
nel discorso tenuto a Rangoon da Aung San Suu Kyi il 25
agosto 1988. Le repressioni di quell'anno causarono tremila
morti.
Una fede incrollabile
Ispirandosi a Martin Luther King e a Gandhi, Aung San Suu
Kyi continuò la sua contestazione non violenta diffondendo
il proprio messaggio in tutto il paese e trasformando il
movimento di opposizione in un'organizzazione forte e
coordinata, la Lega nazionale per la democrazia. Nel 1990,
nonostante Suu fosse agli arresti domiciliari e migliaia di
suoi seguaci venissero arrestati in tutto il paese, i
dirigenti del Partito socialista birmano indissero libere
elezioni, ricorrendo a ogni sorta di intimidazioni e nella
certezza di vincerle; ma la Lega ottenne 392 dei 485 seggi
al Parlamento. Tuttavia la giunta non cedette il potere, il
nuovo Parlamento non fu mai convocato, e gli oppositori
furono arrestati a migliaia.
Il premio non ritirato
L'anno successivo Suu ricevette il Premio Nobel per la Pace,
che non ritirò poiché le autorità militari non le
avrebbero consentito il rientro in Birmania. Per il medesimo
motivo nel 1999 fu costretta a rinunciare a vedere per
un'ultima volta il marito, malato di un male incurabile.
Tenuta senza accuse e processo agli arresti domiciliari o in
prigione per un totale di oltre undici anni, spesso privata
del permesso di ricevere o inviare messaggi, dal 1988 a oggi
raramente ha potuto incontrare i figli. Tuttavia, come mi
spiegò il marito nel 1992, Suu possiede un carattere forte
e razionale, ed è decisa a continuare con determinazione la
sua lotta fino alla caduta del regime, da cui rifiuta di
accettare denaro o favori, ritenendo che ciò servirebbe
soltanto a prolungare la sua detenzione. Per lo stesso
motivo non accettò alcun sostegno finanziario dal marito, e
devolse il denaro assegnatole con il Premio Nobel e altri
premi a un'associazione fondata per la salute e l'istruzione
del popolo birmano.
Come Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi è diventata un
simbolo internazionale di resistenza pacifica, mentre per il
popolo birmano rappresenta un'icona della democrazia, la
più credibile e forse unica speranza di liberarsi
dall'oppressione della dittatura.
Il clero buddhista
I monaci costituiscono il 10% della popolazione e spesso
provengono da famiglie povere, che inviano i figli nei
monasteri per dar loro un minimo di istruzione, sfamarli e
vestirli, oltre che per acquisire meriti. Il clero buddhista
è tradizionalmente molto rispettato e i monasteri svolgono
ruoli non soltanto religiosi ma anche sociali.
I monaci aderirono alla protesta del mese scorso dopo che
l'esercito ebbe disperso con la forza una manifestazione
pacifica occasionata dal raddoppio del prezzo di benzina e
gasolio. In seguito al ferimento di tre dei loro, alcuni
monaci chiesero alla giunta delle scuse prendendo
temporaneamente in ostaggio alcuni funzionari, ma invano.
Successivamente il loro coinvolgimento nella protesta
aumentò non soltanto numericamente, ma anche
qualitativamente, con il rifiuto di svolgere funzioni
religiose per i militari e le loro famiglie, e quindi di
riceverne offerte, un'azione grave perché impedisce ai
fedeli di acquisire meriti in vista delle loro vite
future.
La protesta è coordinata da un gruppo definitosi Alleanza
di Tutti i Monaci Buddhisti Birmani, che ha emesso un
comunicato in cui si descrive il governo militare come
«nemico del popolo», si fa voto di proseguire la protesta
finché «la dittatura militare sarà spazzata» e si
sollecita l'adesione di tutti i birmani. Una delle
dimostrazioni è passata accanto alla casa di Suu,
collegando idealmente il movimento all'istanza di una svolta
democratica. Il resto è storia di questi giorni.
Religione e politica
Sin dai tempi della monarchia, il clero birmano ha svolto un
importante ruolo di mediazione fra sudditi e sovrani. I
monaci furono in prima linea nelle proteste contro
provvedimenti impopolari sotto il dominio britannico e poi
nella rivolta del 1988, oltre che in quella odierna.
Numerosi monaci sono incarcerati, anche se soltanto il 10%
è politicizzato: molti, sparpagliati in un paese vasto
oltre due volte l'Italia ma con una popolazione di soli 50
milioni di persone, sono probabilmente ignari dell'entità
delle agitazioni. Se mobilitato in massa, tuttavia, il clero
buddhista potrebbe rappresentare un serio pericolo per la
giunta militare e il partito unico, analogamente al Fronte
islamico di salvezza in Algeria e alla Chiesta cattolica in
Polonia alla fine del secolo scorso.
Tratto da Riforma del 5 gennaio 2007
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