EFFETTI COLLATERALI DI UN PAESE 'LAICAMENTE INGESSATO';...
di Gaspare Serra
19 agosto 2010 12:49
ISTRUZIONI PER RESISTERE IN UN PAESE "SOTTO COMMISSARIAMENTO
VATICANO"
“Reato” e Peccato”: quale la differenza?
Nel 1764, nell’opera “Dei delitti e delle pene”, il
giurista e filosofo milanese Cesare Beccaria declarò una
distinzione temeraria per l’epoca: quella tra
“peccato” e “reato” (ragion per cui l’opera fu
destinata ad essere iscritta nell’indice dei "libri
proibiti").
Sulla scia del pensiero precursore di Thomas Hobbes (che
già un secolo prima dichiarava che “se i reati son
peccati… non tutti i peccati son reati”!), l'illuminista
Beccaria sostené che:
- mentre il “reato” consisterebbe in un danno arrecato
all'intera collettività, tale per cui il responsbaile di
tale atto meriterebbe di essere giudicato dalla Società nei
modi e nelle forme dalla stessa stabiliti (diremmo oggi,
dalla Giustizia ordinaria);
- il “peccato”, invece, non sarebbe altro che
un’offesa arrecata a Dio, ragion per cui il suo autore
meriterebbe (almeno per chi è credente) di essere giudicato
(punito o perdonato) solo da Dio.
Cosa comporta tale distinzione?
Inevitabile conseguenza della distinzione logica tra "reato"
e "peccato" dovrebbe essere la seguente:
- mentre il Diritto (la “legge positiva” o degli uomini)
dovrebbe occuparsi solo dei reati (della configurazione
giuridica della fattispecie e della previsione di una
apposita sanzione per gli autori di reato);
- la Religione (la “legge divina” o di Dio), invece,
dovrebbe occuparsi solo dei peccati (ossia prescrivere
esclusivamente alla Comunità dei propri fedeli dei canoni
etico-morali di comportamento, prefigurando l'eventuale
punizione divina nel caso della loro trasgressione).
Perché in tale distinzione trova fondamento la “laicità
dello stato” ?
Presupposto di ogni ordinamento giuridico “laico” è
proprio la capacità del legislatore di saper “tener
distinti” la sfera religiosa da quella civile.
Un esempio può facilmente dimostrarlo:
- mentre i regimi teocratici islamici esprimono al meglio
l'incapacità di separare il “peccato” dal “reato”,
riconoscendo ancor oggi la “sharia” (ossia la legge
divina islamica) come legge principale dello stato;
- gli stati moderni occidentali (sorti dalla rivoluzione
francese e dall’illuminismo) si sono contraddistinti per
una “laicizzazione della politica” e “secolarizzazione
della società”, frutto della capacità di distinzione tra
la giustizia “divina” e quella “umana” (la prima
competente solo a Dio, la seconda esclusivamente allo
stato!).
Cosa intendere per “laicità”?
La laicità è uno dei principi su cui si fonda lo stato
moderno (assieme a quello della “separazione dei
poteri”).
Per “laicità” deve intendersi:
- la totale separazione tra lo stato e la Chiesa (o tra il
diritto e la religione);
- l'assenza d'indebite interferenze religiose nell’ambito
dei poteri dello stato (legislativo, esecutivo e
giudiziario);
- e la piena autonomia delle Istituzioni pubbliche rispetto
alle autorità o confessioni religiose ("libera Chiesa in
libero stato", per usare il noto motto cavouriano).
E’ pienamente "laico", dunque, lo stato capace:
I- di mantenere un atteggiamento il più possibile
"imparziale" nei confronti delle scelte spirituali
individuali (di credenti e non credenti) e delle posizioni
assunte dalle varie confessioni religiose (maggioritarie o
meno);
II- e di aver ben chiara la differenza tra il
“governare” e il “guidare spiritualmente” un Paese
(ossia tra il perseguire l'interesse collettivo e il
difendere posizioni ideologiche particolari a discapito dei
diritti e delle libertà generali!).
Cosa distingue il "laicismo" dalla "laicità"?
Mentre è pacifico il significato del termine
“laicità”, risulta controverso quello del termine
“laicismo”.
Per far un esempio:
- mentre alcuni dizionari della lingua italiana (quale il De
Mauro), in accordo con la definizione storica del termine,
considerano il laicismo come un "sinonimo di laicità";
- altri dizionari (quale lo Zingarelli), invece, considerano
tali termini come "concettualmente differenti".
In particolare:
a- mentre il "laicismo" indicherebbe un atteggiamento più
radicale (di "negazione") da parte dello stato nei confronti
delle varie confessioni religiose (e delle correlate
impostazioni etiche);
b- la "laicità", invece, non implicherebbe di per sé
alcuna ostilità da parte dello stato nei riguardi delle
religioni:
- richiedendo da parte di questo una "perfetta equidistanza"
nei confronti di ogni posizione etica o credo religioso
- e ammettendo anche la possibilità che ogni istituzione
religiosa esprima posizioni morali, politiche o sociali
(almeno sin quando questa non cerchi al contempo di imporle
in forza di legge all'intera collettività, ossia anche a
chi non le condivida!).
Perché la "laicità" è una garanzia per i cittadini?
La laicità rappresenta la migliore garanzia possibile del
"principio di eguaglianza" e della "libertà di culto",
intesa:
a- sia "in positivo", come libertà di professare qualsiasi
religione;
b- che "in negativo", come libertà di non professarne
alcuna.
Uno stato "pienamente laico", difatti:
- confida nell’individuo quale "padrone di se stesso" e
"libero nelle proprie scelte" (rifiutando d'imporre valori
"di parte" o verità "presunte" assolute!);
- condanna ogni forma di integralismo
ideologico/religioso;
- e difende l'autonomia delle proprie Istituzioni da ogni
potere o autorità esterni.
L’Italia è uno "stato laico"?
(...)
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stere-in-un-paese.html
Gaspare Serra
(Università degli Studi di Palermo)
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