Giacomo di Girolamo scrive un pezzo condivisibile beccato su
facebook nel quale spiega perchè non darà un euro per il
terremoto in abruzzo. Lo ricopio sotto perchè per accedere
alla pagina bisogna iscriversi a fb e non ci interessa
indurre l'iscrizione di massa al social network.
da [femminismo-a-sud.noblogs.org])
"MA IO PER IL TERREMOTO NON DO NEMMENO UN EURO..."
di Giacomo Di Girolamo
Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a
favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate
in Abruzzo. So che la mia suona come una bestemmia. E che di
solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la
carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun
numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico,
non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno
bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da
offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose,
né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda.
Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei
calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in
diretta del premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti
travolti, le dirette no - stop, le scritte in
sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro.
E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che
in questo momento, da italiano, io possa fare.
Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo
Paese, lo stereotipo dell'italiano generoso, del popolo
pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però
sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle
tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio
che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la
beneficienza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi
sull'orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire,
stringendoci l'uno con l'altro. Soffriamo (e offriamo) una
compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un
centimetro.
Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere
prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità accertate. I
danni riparati in poco tempo. Non do una lira, perché pago
già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già
dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la
protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro.
E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli
italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti
eccellenti evasori che attraversano l'economia del nostro
Paese. E nelle mie tasse c'è previsto anche il pagamento di
tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla
sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che
succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una
classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a
fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella.
C'è andato pure il presidente della Regione Siciliana,
Lombardo, a visitare i posti terremotati. In un viaggio
pagato - come tutti gli altri - da noi contribuenti. Ma a
fare cosa? Ce n'era proprio bisogno? Avrei potuto anche
uscirlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha parlato di
"new town" e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e
al neologismo: "new town". Dove l'ha preso? Dove l'ha letto?
Da quanto tempo l'aveva in mente?
Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio,
ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo
degli spettatori. Ecco come nasce "new town". E' un brand.
Come la gomma del ponte.
Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto
addirittura Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente
del Senato dice che "in questo momento serve l'unità di
tutta la politica". Evviva. Ma io non sto con voi, perché
io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle
spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete
responsabilità su quello che è successo, perché governate
con diverse forme - da generazioni - gli italiani e il suolo
che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per
la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le
amnesie di una giustizia che non c'è.
Io non lo do, l'euro. Perché mi sono ricordato che mia
madre, che ha servito lo Stato 40 anni, prende di pensione
in un anno quasi quanto Schifani guadagna in un mese. E
allora perché io devo uscire questo euro? Per compensare
cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice i miei lo
sentirono eccome quel terremoto. E diedero un po' dei loro
risparmi alle popolazioni terremotate.
Poi ci fu l'Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e
simbolico versamento su conto corrente postale. Per la
ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo
l'Irpinia ci fu l'Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo
strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare
indifferente.
Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua a
fare sempre come prima? Hanno scoperto, dei bravi
giornalisti (ecco come spendere bene un euro: comprando un
giornale scritto da bravi giornalisti) che una delle scuole
crollate a L'Aquila in realtà era un albergo, che un tratto
di penna di un funzionario compiacente aveva trasformato in
edificio scolastico, nonostante non ci fossero assolutamente
i minimi requisiti di sicurezza per farlo.
Ecco, nella nostra città, Marsala, c'è una scuola, la più
popolosa, l'Istituto Tecnico Commerciale, che da 30 anni sta
in un edificio che è un albergo trasformato in scuola.
Nessun criterio di sicurezza rispettato, un edificio di
cartapesta, 600 alunni. La Provincia ha speso quasi 7
milioni di euro d'affitto fino ad ora, per quella scuola,
dove - per dirne una - nella palestra lo scorso Ottobre è
caduto con lo scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! Lo
scirocco! C'è una scala Mercalli per lo scirocco? O ce la
dobbiamo inventare?) il controsoffitto in amianto.
Ecco, in quei milioni di euro c'è, annegato, con gli altri,
anche l'euro della mia vergogna per una classe politica che
non sa decidere nulla, se non come arricchirsi senza ritegno
e fare arricchire per tornaconto. Stavo per digitarlo, l'sms
della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sottolineato gli
eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul
terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io, con
il canone, ho capito che già era qualcosa se non chiedevo
il rimborso del canone per quella bestialità che avevano
detto.
Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio
se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente,
dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non
sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di
chi fa politica. Ora tutti hanno l'alibi per non parlare
d'altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la
maggioranza (tutta, anche quella che sta all'opposizione)
perché c'è il terremoto. Come l'11 Settembre, il terremoto
e l'Abruzzo saranno il paravento per giustificare
tutto.
Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni
giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come
risparmiare per aiutare gli sfollati: congelando gli
stipendi dei politici per un anno, o quelli dei super
manager, accorpando le prossime elezioni europee al
referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E
ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.
Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La
mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi
giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una
casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto,
quando sento dire "in Giappone non sarebbe successo", come
se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se il
know - how del Sol Levante fosse solo un' esclusiva loro.
Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si
fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all'atto
pratico.
E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i
poveracci, e nel frastuono della televisione non c'è
neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le
cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi
tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di
noia. Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i
poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.
Come la natura quando muove la terra, d'altronde.
Giacomo Di Girolamo
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