Otto per mille: quanto costa la Chiesa agli italiani
di 2 luglio 2007 - Paolo Boccuccia - tratto
3 luglio 2007 0:00
Con la revisione-riconferma del Concordato del 1929
sottoscritta nel 1984 dal governo Craxi, (due grandi errori
commessi da due grandi uomini di Stato) il Cattolicesimo ha
cessato (teoricamente) di essere in Italia religione di
Stato, anche se nel nuovo testo l'art. 9 recita:
"La Repubblica italiana riconosce il valore della cultura
religiosa (cattolica) e tiene conto che i principi del
Cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo
italiano";
ed anche se, per effetto della revisione della Convenzione
economica annessa al nuovo Concordato è stata abolita la
"congrua" di sostentamento del clero versata
antecedentemente dalle casse dello Stato, tale esborso è
stato subito sostituito con il finanziamento "volontario"
dell'otto per mille sul gettito totale del patrimonio
soggetto ad IRPEF, versato da ogni cittadino ed inserito
d'ufficio nei moduli della denuncia dei redditi. Un tale
meccanismo di denuncia "caritatevole" dà modo al
cittadino-contribuente di scegliere a chi devolvere la
decima prescritta: se allo Stato, alla Chiesa Cattolica o ad
altre confessioni religiose (cristiane), con l'esclusione
quindi di organizzazioni umanitarie laiche, enti di ricerca
scientifica e quant'altro (1).
Ma qui scatta un'astuta trappola escogitata a suo tempo dai
nostri "laici" politicanti sull'input dei (mon) signori
della Gerarchia: siccome, com'era prevedibile e fu previsto,
solo un terzo dei contribuenti, per pigrizia, menefreghismo
o disperazione, sceglie a chi devolvere l'obolo, l'art. 37
della relativa legge di attuazione recita:
"In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti,
la destinazione (dei quozienti da distribuire del gettito
totale) si stabilisce in proporzione alle scelte
(percentualmente) espresse".
E poiché, com'era prevedibile e fu previsto, tra la
minoranza che opera una scelta solo il 35% non opta a favore
della Chiesa Cattolica, questa oltre alla quota parte
espressamente assegnatale ottiene di incassare anche l'85%
dell'intero gettito relativo.
L'ammontare di tale cifra, stornata dai redditi dei
cittadini ed in un certo senso prelevata direttamente dalle
loro tasche, è stato calcolato in circa un miliardo per
anno. In teoria, una tale enorme somma dovrebbe essere
destinata ad opere di carità; ma le stesse cifre ufficiali
della C.E.I. relative al triennio 2002-2004 ammettono che il
46% dell'incasso viene destinato "alle esigenze del culto
[del Papa]" (adunate oceaniche, viaggi papali, ecc. ecc.),
il 34% al sostentamento del clero e solo il restante 20% ad
interventi caritatevoli. Ma in quest'ultima voce, è da
notare come la maggior parte di una tale frazione sia
destinata all'Opera Missionaria, e quindi ad un lavoro di
propaganda e proselitismo in aree non cristiane del
mondo.
All'ingente cifra scucita ogni anno, bon crè mal crè, dai
contribuenti, va aggiunta una somma dello stesso ordine di
grandezza sborsata direttamente dallo Stato (senza
considerare quindi regioni, province e comuni) con le
causali più disparate: nel 2004 sono stati destinati 258
milioni per le scuole cattoliche, 44 milioni per le cinque
grandi università cattoliche, 20 milioni per la sola
Università dell'Opus Dei (2), 478 milioni per gli stipendi
dei 15000 insegnanti di religione passati di ruolo in tutte
le scuole di ogni ordine e grado (3).
Aggiungendo poi ai finanziamenti scolastici quelli relativi
agli istituti di sanità gestiti da istituzioni cattoliche,
si può calcolare un altro miliardo di spesa da parte dello
Stato. La Chiesa gestisce infatti oltre a 6000 centri di
assistenza medica, suddivisi in 1853 ospedali e case di cura
convenzionati; 729 orfanotrofi, 534 consultori medici, 136
ambulatori, 10 grandi ospedali (tra cui l'Agostino Gemelli
in Roma che funge da nosocomio del Vaticano) nonché 111
ospedali di media dimensione, ecc. Nel campo poi della
pubblica istruzione (o meglio, dell'istruzione cattolica) la
Chiesa italiana dispone di 504 seminari, 6228 scuole materne
ed asili, 1280 elementari, 1136 secondarie, cinque grandi
università, la cui frequenza ai corsi, che assicura il
collocamento post lauream, è ambitissima, e 130 altri
atenei di media dimensione, di cui lo Stato paga i
finanziamenti e le rette ai corsisti (4).
Ma come è naturale, un tale enorme patrimonio di produzione
e riproduzione viene affiancato da un altrettanto grande
apparato di gestione, costituito da 118 sedi vescovili,
12314 parrocchie, quasi altrettanti oratori, 360 case
generalizie di ordini religiosi, un migliaio di conventi
maschili o femminili (la metà dei quali, per le scarse
vocazioni, finisce per diventare centri alberghieri a 4
stelle). Inoltre, nella sola area metropolitana di Roma, la
Santa Sede e l'episcopato romano possiedono un vastissimo
patrimonio immobiliare, dentro e fuori le mura aureliane,
pari ad un quinto dell'area urbana che si estende dentro il
circuito delle storiche fortificazioni. Solo lo Stato della
città del Vaticano possiede cospicue proprietà edilizie
extra moenia solo in parte specificate dai Patti Lateranensi
del 1929: ad es., il palazzo di Propaganda Fidei a P.zza di
Spagna, l'Università Gregoriana, il Collegio Lombardo, il
Russicum ecc. ecc.
Per non parlare dell'area di Santa Maria di Galeria che
ospita la Radio Televisione Vaticana che si estende per 44
ettari , ancora oggi al centro di uno scandalo per
l'inquinamento elettromagnetico provocato dalle sue
emissioni televisive. Su tutto questo immenso patrimonio
immobiliare né il Vaticano né la CEI pagano un solo euro
di imposte (5). Bisogna aggiungere gli enti ecclesiastici
che sono 59.000 e possiedono 90.000 immobili, il cui valore
ammonta ad almeno 30 miliardi; ma essi per via della
Convenzione economica annessa al Concordato sono esenti
dalle imposte sui fabbricati e sui terreni e sui redditi
relativi ad enti o istituti, sulle compravendite e su quelle
di valore aggiunto: insomma, da ogni carico fiscale e
contributivo. In tal modo le istituzioni statali e comunali
italiane perdono ogni anno un gettito valutato intorno ai 9
miliardi e mezzo; per cui senza questi privilegi fiscali
della Chiesa lo Stato italiano potrebbe dimezzare il carico
fiscale diretto e indiretto che grava sui
cittadini-contribuenti. Ma come se ciò non bastasse, alle
esenzioni fiscali dello Stato è necessario aggiungere
quelle comunali, poiché per una recente legge gli enti
ecclesiastici "non esclusivamente commerciali" sono esenti
dall' ICI. E siccome per ottenere una tale esenzione è
sufficiente che tali enti (alberghi, ristoranti, posti di
ristoro ecc.) autocertifichino la loro destinazione "anche"
a luoghi di culto (avendo annessa una cappellina o
chiesuola6), nessun comune della penisola riceve un euro da
tali lucrose attività. In tal modo, i comuni italiani
perdono l'incredibile ammontare di 2 miliardi e mezzo
all'anno, che sommati ai mancati incassi fiscali dello Stato
fanno lievitare a circa 12 miliardi la cifra complessiva
dell'evasione fiscale (ladrocinio autorizzato) di Santa
Romana Chiesa.
Immensa cifra che lo Stato ed i Comuni provvedono a
ripianare addebitandola in conto tassazione ai cittadini;
ognuno di noi versa quindi ogni anno alla Chiesa Cattolica
ben più dell'8 per mille dei suoi redditi! Naturalmente si
può obiettare che se gli ecclesiastici dovessero pagare le
tasse come i comuni cittadini e gli enti laici di ogni
natura e finalità, si troverebbero nell'impossibilità di
farlo e andrebbero incontro alla bancarotta: istituto
giuridico che per via del Concordato primo e secondo non si
applica a nessun ente ecclesiastico. Che viene così
proclamato immune dal rischio di fallimento e non sottoposto
a giudizio del Foro di competenza.
Ma a parte questo aspetto propriamente giuridico della
faccenda, c'è da chiedersi quale sia il ritorno
dell'immensa spesa economica sopportata dal popolo italiano
per mantenere uno Stato estero (uno pseudo Stato, una
finzione giuridica, un'entità fittizia ed artificiale) ed
un apparato ecclesiastico che oltretutto si intromette di
continuo in tutti gli aspetti della vita nazionale, e non
solo esprimendo le sue opinioni, ma mobilitando concrete
forze politiche e conducendo costose campagne di pressione
che l'abbondanza di denaro disponibile rende possibile
attuare. Per un carico finanziario, politico, giuridico e
morale tanto schiacciante la controparte non può essere
costituita dalla semplice "salvaguardia del valore" di una
cultura e dalla soddisfazione di "tener conto dei principi
del Cattolicesimo", nella convinzione (errata) che essi
facciano parte (comprese le Crociate, la caccia alle streghe
e l'Inquisizione) del patrimonio storico del popolo
italiano. Io temo, ed a ragione, che il ritorno del costo
sia appannaggio non del popolo, ma della classe politica
italiana, che dai tempi della Legge delle Guarentigie e del
Patto Gentiloni, pur nelle sue interne contrapposizioni
punta sull'appoggio interessantissimo di S.R.C. alle proprie
manovre di potere ed alla salvaguardia dei propri interessi
politici e personali.
Note
Legge N° 122 del 1985
Secondo Rapporto sulla Laicità in Critica Liberale N°
123-124 Gennaio-Febbraio 2006. pag 31, 39 Legge N° 186 del
2003
Secondo Rapporto sulla Laicità in Critica Liberale N°
123-124 Gennaio-Febbraio 2006. pag 52, 57
Agenzia di Ricerca Economica e Sociale Enti Ecclesiastici:
le cifre dell'evasione fiscale. Rapporto del 7 Settembre
2006 Legge N° 248 del 2006
www.disinformazione.it
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