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UNA VITTORIA A BALI DEI CITTADINI GLOBALI
di L'INFORMATORE
4 gennaio 2008 0:00
 
dal sito http://www.riforma.it/news.php3?id=928

La battaglia per l'ambiente
Grazie a una forte pressione di cittadini globali a Bali si è evitato il peggio. Occorre entro il 2009 firmare un nuovo trattato per far fronte al riscaldamento globale
Franco Giampiccoli

COME la barca che nella regata affronta il giro di boa riduce la velocità per la virata, così la XIII Conferenza sul Cambiamento climatico a Bali si è quasi fermata prima della sua conclusione il 14 dicembre. Se essa dovrà essere ricordata domani come un giro di boa, lo dirà il futuro. Ma se la barca avrà un futuro è perché a Bali ha evitato di rovesciarsi.
Si trattava di iniziare la trattativa per un nuovo patto di riduzione globale di emissioni di anidride carbonica - uno dei peggiori fattori del riscaldamento climatico - dopo la faticosa esperienza del primo trattato, Kyoto, che si concluderà nel 2012 con scarsi risultati. A Bali, dopo giorni di un lento bordeggiare, la barca stava avviandosi al consenso, quando Giappone, Canada e Stati Uniti si sono messi di traverso rifiutando qualsiasi indicazione numerica per le riduzioni percentuali da raggiungere e qualsiasi indicazione di un termine temporale entro cui attuarle. Per evitare il naufragio, con la proroga di 24 ore, frenetiche trattative portano prima al cedimento del Giappone, e poi a una sorprendente inversione di marcia del Canada che permette al gruppo dei paesi aderenti al trattato di Kyoto, tra cui il Canada stesso, di fissare al 25-40% le riduzioni di CO2 da raggiungere tra il 2012 e il 2020. Ma gli Stati Uniti, ostinati oppositori di ogni discorso di riduzione e non aderenti al protocollo di Kyoto, continuano a essere contro. Nell'ultima sessione appare il compromesso finale, le percentuali portate a una barcollante forbice tra 10 e 40 e cacciate dal testo per finire in una nota, la data del 2020 appena accennata. La rappresentante Usa prende la parola e rifiuta l'ultima possibilità di accordo. Abbiamo letto sui giornali qualcosa di quello che difficilmente si poteva immaginare: 25 minuti di sollevazione generale, fatta di interventi vibranti, applauditi, insistiti. Dopo meno di mezzora la delegazione Usa realizza il proprio completo isolamento e cede.
Il documento votato all'unanimità è come sempre un compromesso. Non si inizia a negoziare il dopo-Kyoto, si dovrà attendere il 2009 (e cioè il nuovo presidente Usa) per cominciare a mettere nero su bianco impegni precisi.
Ma non è un compromesso da poco: al blocco dei paesi firmatari di Kyoto si aggiungono tutti gli altri, per lo meno con un orientamento comune, per cui non c'è chi tra i paesi ricchi dice «noi non intendiamo diminuire», né tra i paesi emergenti chi avverte «non sognatevi di limitarci». E questo è già un passo avanti.

Sott'acqua

Questi i tratti sommari della vicenda di Bali che molti hanno letto con maggiori dettagli sui giornali. Ma quale è stata la parte sommersa di questa pericolosa navigazione? In altra parte del giornale si parla dell'azione di un gruppo di pressione che sentiamo particolarmente vicino, il Consiglio ecumenico delle chiese. Ma qui vorrei dare qualche notizia su una gigantesca mobilitazione che nello spazio di 72 ore ha contribuito a evitare il naufragio. È difficile quantificare l'impatto dell'opinione pubblica, ma sulla sorprendente virata del Canada avrà pure influito la richiesta di 110.000 cittadini che chiedevano al proprio paese di smettere di bloccare la trattativa, la pubblicità a piena pagina sui giornali canadesi di una caricatura della bandiera canadese, l'ira montante di un intero paese. Così non saranno state del tutto irrilevanti le migliaia di e-mail inviate in una notte al premier Fukuda per chiedere una condotta politica responsabile da parte del Giappone. Né le decine di migliaia di messaggi con cui cittadini statunitensi hanno bombardato non la loro delegazione, ma tutte le altre invitandole a non piegarsi, dicendo: «Per favore, non tenete conto della squadra del presidente Bush: non rappresenta il popolo americano».
Infine, nelle ultime ore viene coordinata la più vasta petizione mai vista: 2.600.000 voci per «fermare a Bali il naufragio del clima».
Ma chi è riuscito a portare questa pressione all'interno del bunker dei negoziati e ha coordinato gli appelli di una dozzina di organizzazioni internazionali? Un giovane movimento che ha radici antiche.

Avaaz

Avaaz.org - un'organizzazione il cui nome in diverse lingue orientali significa «voce» o «canto» - è una comunità di cittadini globali che assumono una responsabilità attiva per un mondo più giusto e pacifico e per la prospettiva di una globalizzazione dal volto umano. Avaaz è stata fondata tra gli altri da MoveOn, uno dei primi movimenti politici a usare Internet per le campagne di pressione. Tra i fondatori di Avaaz figura infatti Eli Pariser, che forse alcuni ricorderanno come un infaticabile promotore e organizzatore della campagna pacifista di MoveOn che nel 2002 e 2003 contribuì a far scendere in piazza milioni di persone nelle più grandi manifestazioni pacifiste mai viste.
Quelle azioni non hanno impedito la guerra in Iraq, ma intanto gli Stati Uniti stanno risvegliandosi dal sonno ipnotico che il presidente Bush era riuscito a stendere sul paese dopo l'11 settembre. Così le pressioni globali esercitate durante tutto l'anno e culminate a Bali non sono riuscite a far salpare un nuovo negoziato per il dopo-Kyoto, ma intanto hanno contribuito a salvare la Conferenza da un disastroso naufragio.
Bali però è solo una tappa e non è che l'inizio, avverte il combattivo comunicato di Avaaz: «Ora ogni nazione di questo mondo ha concordato di accelerare i negoziati per arrivare, con il 2009, a firmare un nuovo trattato per far fronte al riscaldamento globale. Abbiamo bisogno di questo trattato per fissare mete globali vincolanti per le emissioni di CO2 e un meccanismo che consenta di rispettarle impedendo alla temperatura del pianeta di aumentare di più di 2 gradi - il livello oltre il quale gli scienziati ritengono che l'aumento sarebbe catastrofico. Quel trattato cambierà l'economia mondiale per sempre, svezzandoci dalla dipendenza dal petrolio e dai combustibili fossili a favore di fonti energetiche più pulite. Alcuni leader, legati a filo doppio all'industria petrolifera, lotteranno con le unghie e con i denti fino in fondo. Così faremo anche noi. La più grande battaglia per salvare l'ambiente è iniziata e negli ultimi giorni della Conferenza di Bali abbiamo dimostrato che la gente non intende star seduta a guardare».
Non so se tra due anni riusciremo ad avere un trattato che cambi per sempre l'economia mondiale. Ma so per certo che non possiamo stare seduti a guardare.
















 
 
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