Commenti
|<   <- 31-60/97 ->   >|
Sophia
29 ottobre 2009 12:29
per chi non ne poteva più ... ecco a voi finalmente la DECIMA e ULTIMA PARTE INTRODUTTIVA del QUADRO più generale in cui il problema energetico si inserisce:
-----------------------------

La posizione dell’Italia

Le considerazioni svolte finora hanno carattere generale, anche se ho portato esempi prevalentemente italiani.
Il problema si pone in modo parzialmente originale nel nostro paese: anche in economia, come in politica e nella società, il paese di oggi è figlio della storia e delle scelte operate nel passato.
Citerò solo due aspetti.
Uno è la decisione, presa nel 1987 sotto l’impressione della tragedia di Chernobyl, di non ricorrere all’energia nucleare. Assieme all’avversione delle popolazioni locali alle centrali a carbone, ha determinato una dipendenza fortissima del nostro sistema energetico dagli idrocarburi. Oggi si tende a sostituire il gas ai derivati del petrolio nell’industria e nella generazione elettrica, con un rischio crescente di dipendenza da pochissimi fornitori. La sola società Gazprom di proprietà del governo russo fornisce gas per circa un terzo del consumo italiano; qualora questa fornitura dovesse mancare, i vincoli di capacità dei gasdotti e di rigidità dei contratti internazionali non consentirebbero di sostituirla; questa impresa è quindi in condizioni di fortissimo potere di mercato nei confronti del nostro paese.
Vi è dunque oggi un urgente bisogno di diversificare, ma il gas è la più pulita tra le fonti energetiche praticamente disponibili in quantità adeguate, cosa che non si può ancora dire delle rinnovabili. Qui vi è conflitto tra sicurezza e tutela dell’ambiente. E tuttavia anche qui si può fare qualche progresso guardando meglio dentro il problema. La direzione ovvia per ridurre la dipendenza dal gas e al tempo stesso il costo dell’elettricità è quella di aumentare l’impiego del carbone. Oggi una centrale a carbone può essere costruita in modo da non produrre inquinamento locale; non vi è dunque motivo per opporsi se l’impresa elettrica accetta controlli adeguati a garantire che vengano effettivamente usate le migliori tecniche. Resta, allo stato attuale dell’impiantistica, un’emissione di anidride carbonica molto maggiore di quella di un impianto a gas. Ma se altri paesi riescono a restare nei limiti concordati in sede di attuazione del protocollo di Kyoto pur mantenendo una quota di sicurezza nella generazione a carbone, perché non dovrebbe riuscirci l’Italia che ne ha maggiore necessità avendo rinunciato al nucleare? Il contenimento delle emissioni di gas di serra non riguarda un impianto o un settore, ma il complesso del sistema. Se l’Italia ha un problema acuto di sicurezza nell’approvvigionamento di energia, sembra irrazionale non volerlo risolvere solo per non fare la fatica di distribuire lo sforzo necessario per rispettare i parametri di Kyoto sul ventaglio disponibile dei settori esistenti e delle azioni possibili.
Concludo esprimendo una convinzione: che la risorsa da mobilitare con massima urgenza è la razionalità. Nessuna via deve essere scartata, ma ciascuna deve essere apprezzata correttamente.
Possiamo sognare l’idrogeno, ma ricordando che non è una fonte di energia, non si trova in natura e che lo si può isolare solo mediante l’impiego di una (altra) fonte energetica, cosicché esso potrà avere grande utilità come veicolo per avere energia pulita là dove serve.
Possiamo ripensare all’energia nucleare, ma sapendo che il più ottimistico dei progetti nella più ottimistica delle ipotesi di contesto richiederebbe comunque una quindicina d’anni per produrre qualche risultato; che la miglior tecnologia disponibile nel mondo è oggi abbastanza sicura per quanto riguarda il funzionamento della centrale ma non ha ancora prodotto una soluzione per lo smaltimento delle scorie e lo smantellamento finale dell’impianto; che il nostro paese non ha ancora saputo risolvere il problema di localizzazione delle poche scorie che abbiamo, e questo non invita alla fiducia nella capacità di gestire un sistema tanto delicato e complesso.
Possiamo accelerare la generazione elettrica da fonti rinnovabili, ma siamo su misure inferiori di un ordine di grandezza rispetto al problema. Arriveremo al 2010 non rispettando gli obiettivi (non vincolanti) fissati dalla Commissione europea con la direttiva n.77 del 2001; gli sforzi di incentivazione compiuti finora, anche costosi, consentiranno solo di mantenere la quota attuale del 16 per cento di elettricità da fonti rinnovabili in presenza di una domanda elettrica crescente. Ben che vada, potremo accrescerla in futuro di qualche punto, non di qualche decina di punti come sarebbe necessario per ridimensionare le altre fonti.
Possiamo operare aumenti di efficienza negli usi finali dell’energia che la Commissione europea stima nell’ordine del venti per cento. Per realizzarli servono programmi, come quello in atto in Italia, in cui l’autorità fissa un obiettivo e un sistema di incentivi e penalità in modo da sfruttare l’interesse dei soggetti economici per raggiungere un risultato di utilità sociale. Di più, un’impresa è certa che se introduce miglioramenti li può valorizzare. Se ha già raggiunto l’obiettivo assegnatole, può vendere i certificati (cosiddetti bianchi) corrispondenti al miglioramento attuato; li acquisteranno le imprese che non riescono a raggiungere il loro obiettivo. Di nuovo, il mercato introduce stimoli e flessibilità, accrescendo l’efficacia e riducendo il costo complessivo dell’azione.
L’altro aspetto di rilievo nella situazione italiana è l’estrema difficoltà di localizzare impianti di ogni genere: centrali, elettrodotti, gasdotti, terminali per ricevere il metano liquefatto dalle navi e riportarlo allo stato gassoso per immetterlo in rete (impianti preziosi, questi, per diversificare le provenienze del gas e ridurre la dipendenza da pochi fornitori).
La difficoltà è tutt’altro che limitata all’Italia. Siamo portati a lamentarci, ad accusare avversari politici, a sognare soluzioni legislative o addirittura costituzionali, più che a osservare con attenzione come il problema viene affrontato in altri paesi, che partono da difficoltà non diverse dalle nostre. Non abbiamo capito che la gestione del consenso e del dissenso richiede professionalità, dedizione, preveggenza. La gente ha diritto di essere informata e persuasa. Non basta dire che un impianto è innocuo, bisogna usare verso i cittadini almeno una parte di quello sforzo persuasivo, basato su analisi e piani d’azione, che le imprese ben conoscono quando si tratta di imporre un nuovo bene di consumo. Certo che si tratta di imprese diverse, ma non è proibito imparare; anzi la disponibilità ad apprendere è una delle virtù più necessarie alle organizzazioni, oltre che alle persone.
Approccio razionale ai problemi, capacità di informare e spiegare: questi sono i prodotti tipici dell’industria scolastica, alla quale apparteniamo. Vediamo di utilizzarli e, diciamo così, venderli bene. Ce n’è bisogno, anche per migliorare il rapporto tra energia e ambiente.
t_n_t
28 ottobre 2009 12:19
Brava Sophia...parrebbe ora, ma entreremmo nello schema del complottismo, che le sue invenzioni di allora siano state "perfezionate" dalla Difesa o anche più sopra e siano stati creati i cosidetti sistemi HAARP che si ipotizza (perchè considerati "segreti militari") siano in grado di "interferire" nei fenomeni atmosferici e "intervenire" nella trasmissione di impulsi ad immensa distanza; circa gli scopi le ipotesi positive o negative non mancano.

Se ritieni l'argomento di tuo interesse (si tratta di energia) puoi sempre effettuare ricerche in tal senso sapendo in partenza che troverai pro e contro determinate ipotesi; sono segreti militari, purtroppo, e numerosissimi brevetti di Tesla pare siano "spariti" dopo la sua morte.

Da parte mia, avrai compreso che quando si "combinano" troppe anomalie che hanno a che fare con decisioni ufficiali, ufficiose, occultate ma logiche, da parte dei potenti e dei loro interessi, non posso far finta che che non ci sia nulla di male.

---

Una domanda OT: ma che cazzo vuole Sole anche da me? solo il diritto all'ultima parola?
Sophia
28 ottobre 2009 11:56
@ TNT

Allora, come promesso ... ho chiesto un po' in giro qualche notizia in più sui contributi di Nikola Tesla e un mio carissimo amico mi ha risposto quanto segue:

"Non è un "discusso" scienziato: fu un grande scienziato ed una delle
unità di misura del flusso di campo da lui studiato porta, ancora ai
giorni nostri, il suo nome, in suo onore.

Poi aveva delle idee balzane che non riuscì mai a dimostrare, ma del
resto lo sapeva lui per primo.

Quanto alla "radiotrasmissione dell'energia"... non avrebbe rovinato
un bel niente, perché non era commerciale.

Considera: per trasmettere l'energia occorre prima di tutto AVERCELA
quest'energia, e dato che i ricevitori sono passivi, e non li si può
individuare, la percentuale di scrocconi avrebbe fatto fallire entro
breve qualsiasi industriale avesse voluto sfruttare il brevetto.

Purtroppo, dopo il 1905 e gli screzi con i finanziatori, Tesla... si
staccò un po' dalla realtà. Ebbe un'ultima intuizione, ma che rimase
lettera morta per quasi cento anni: egli scoprì che la sua "corrente
polifasica" ad alto voltaggio era in grado di percorrere un "tunnel"
aperto da un proiettore di raggi catodici, e intuì le possibilità di
avere un contatto elettrico con un oggetto a distanza. Ma purtroppo,
i materiali a sua disposizione non gli consentirono di realizzare un
prototipo in scala sufficiente. Pare certo che riuscisse a costruire
un modellino di portata molto ridotta, però.

Si dice perfino (e *potrebbe* essere vero) che un visitatore nel suo
laboratorio entrasse accidentalmente a contatto col raggio, e per un
soffio non ci rimettesse la pelle (e' possibile: Tesla non lo poteva
sapere, ma la frequenza che usava - e tuttora è in uso negli USA - è
letale, perché interferisce con lo stepper senoatriale che regola il
battito cardiaco... anche una corrente molto piccola può causare una
fibrillazione fatale. In Europa ci va meglio, perche' qui si impiega
una frequenza diversa, meno pericolosa).

Comunque, le implicazioni del nuovo dispositivo non andarono perdute
- disponendo di isolatori più potenti, ed elettrodi migliori, poteva
benissimo darsi che si potesse costruire un "cannone a raggi" capace
di abbattere un aereo in volo, o provocare l'infarto a un plotone di
fanteria.

La cosa si riseppe abbastanza - nel 1908, Emilio Salgari nel suo "Re
del Mare" presenta Paddy O'Brien di Filadelfia, inventore di un'arma
elettrica in grado di fare esplodere le navi nemiche di Sandokan (l'
arma viene distrutta da un fortunato colpo di granata, che uccide il
suo inventore).

E il Dipartimento della Difesa pensò bene che, se qualcuno si doveva
dedicare a sviluppare gli studi di Tesla, era bene che quel qualcuno
fossero loro... non si sa mai.

La storia ha ovviamente un seguito, ma non sono in grado di dare dei
gran particolari; so che Raytheon ha sviluppato un sistema simile, a
livello concettuale, con il nome in codice di 'Aquila Vigilante'."
Sophia
27 ottobre 2009 9:45
Ah ho capito. Non l'avevo mai sentito nominare. Mi guarderò il video e chiederò un po' in giro a quelli che se ne occupano in maniera "specifica" se ne sanno nulla. Appena avrò "nuove" in questo senso ti farò sapere.
t_n_t
27 ottobre 2009 0:26
Il link richiamava un'anteprima di video su Nikola Tesla.

L'energia fotonica o tachionica sarebbe l'energia che lui avrebbe (probabilmente ha) scoperto...ma di ciò se ne riporta solo se fai parecchie ricerche su di lui perchè ad esempio wikipedia non gli fa troppo onore mentre da altre parti si rintraccia molto di più sul suo conto, le sue scoperte e le sue invenzioni ed i suoi brevetti.

Anche tu alzata a quest'ora?
Sophia
27 ottobre 2009 0:01
Nessun problema per le interruzioni. Avevo già dato il mio consenso a chiunque ad interrompere e vivacizzare la discussione con i propri contributi.

Sono andata al link che mi hai segnalato ma non ho trovato nessun articolo sulla fotonica o tachionica. sotto quale titolo lo avrei dovuto trovare?
t_n_t
26 ottobre 2009 23:37
Ciao Sophia

Scusa se interrompo la tua sequenza ma ero a far ricerche in merito alle diverse vedute tra te e doctor e mi sono casualmente imbattuto su questo link che parla di energia e dello scienziato Tesla.

http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/nikola-tesla-segre to-film-dvd-vera-storia.php

Quale è la tua posizione riguardo questo "discusso" scienziato che a quanto pare risulterebbe scopritore di una fonte di energia inesauribile (fotonica o tachionica che dir si voglia) e che ai suoi tempi avrebbe potuto rovinare gli interessi dei potenti con tale scoperte?

Buona notte.
Sophia
26 ottobre 2009 15:04
"Ve la segnalo perché suppongo che non leggerete, nei prossimi giorni, altro che le meraviglie del concorrente “South Stream”."
------------------------



Infatti ... sul SOLE24 si parlava solo di “South Stream”.....

Grazie Francesco per la segnalazione del link molto interessante. Ora mi informo meglio su questo Nabucco e poi quando ho notizie un po' più certe ti faccio sapere.

Intanto proseguiamo con le ultime parti dell'ARTICOLO.

NONA PARTE:

Liberalizzazione dei mercati energetici e impatto ambientale

In tutto il mondo, ed in particolare nell’Unione Europea, l’ultimo decennio è stato caratterizzato da una profonda riorganizzazione dei servizi energetici a rete, elettricità e gas.
L’attività è stata ampiamente liberalizzata, ponendo fine, almeno in via di principio, ai monopoli che a lungo avevano caratterizzato questi settori e che erano considerati inevitabili a causa dell’unicità delle reti, o meglio della loro qualità di monopoli “naturali”. Separando la gestione della rete dalle attività di produzione e commercializzazione dell’energia si è potuto restringere il regime monopolistico alla prima, spingendo le altre verso un assetto concorrenziale.
Ne è derivata la possibilità di integrare i mercati nazionali in un mercato unico europeo, il beneficio in termini di efficienza che deriva dalla concorrenza tra le imprese, l’apertura di nuovi spazi per l’iniziativa economica e la libera scelta del consumatore.
Poiché la liberalizzazione dà spazio alle imprese private, essa può essere vista come un ostacolo più che un aiuto al perseguimento di interessi pubblici come la salvaguardia dell’ambiente. Ma ci sono ragioni per ritenere i contrario.
La lunga stagione dei monopoli regolati dai governi aveva prodotto strutture tariffarie assai lantane dalle strutture dei costi, orientare al sostegno di settori industriali e al perseguimento di obiettivi sociali, o intesi come tali. Il prolungato mantenimento di tariffe sottocosto stimola lo spreco di energia o quanto meno una combinazione non ottimale di fattori produttivi e una composizione non ottimale dell’industria. L’introduzione di mercato e concorrenza rende evidenti queste situazioni, costringe le politiche industriali e sociali alla trasparenza dei sussidi che la disciplina del mercato interno impone di eliminare. Il processo non è né facile né indolore e troppo spesso la protezione dell’industria nazionale, in molto paesi, pone ostacolo sia alla concorrenza che al contenimento dei consumi energetici e alla tutela dell’ambiente; ma è chiaro che l’eliminazione dei sussidi settoriali è coerente con la tutela ambientale.
Anche quando sembra che l’obiettivo ambientale sia in contrasto con lo sviluppo del mercato concorrenziale, un’analisi attenta mostra che politiche ben disegnate possono utilizzare il mercato in direzione socialmente positiva. Ad esempio, si è a lungo ritenuto che i consumi domestici possano essere scoraggiati da una tariffa progressiva in ragione delle quantità consumate, come la vecchia e per questo aspetto ancora attuale tariffa elettrica italiana. Una tariffa del genere, come qualsiasi prezzo imposto, è ovviamente incompatibile con un mercato aperto alla concorrenza: così sembra che la liberalizzazione nuoccia all’ambiente. Ma non si contiene efficacemente il consumo di energia mantenendo tariffe politiche, che portano sempre entro di sé il conflitto tra l’obiettivo sociale e quello ambientale. Va piuttosto sviluppata la conoscenza delle misure di risparmio energetico e la loro pratica accessibilità: ad esempio, l’installazione di pannelli solari termici per la produzione di acqua calda, la forma più semplice ed economica di utilizzazione dell’energia solare che vediamo largamente sviluppata in molti paesi, è ostacolata principalmente dall’insufficiente conoscenza da parte non solo dei potenziali utilizzatori ma degli stessi installatori, dalla divergenza tra l’interesse del proprietario della casa e quello dell’inquilino, dal disegno obsoleto e irrazionale degli impianti esistenti nelle case vecchie; queste le difficoltà da rimuovere mediante un’azione pubblica, anche in cooperazione con i privati che siano pronti a cogliere l’occasione.
francescomangascia
24 ottobre 2009 8:21
South Stream o Nabucco?
La Grande Guerra dei gasdotti si fa sempre più avvincente
di Cesare Propersio
http://www.loccidentale.it/articolo/southstream+o+nabucco%3F +la+grande+guerra+dei+gasdotti+si+fa+sempre+pi%C3%B9+avvince nte.0080227

Non si dormono sonni tranquilli al Cremlino.

Il grande incubo, il gasdotto “Nabucco”, voluto dall’Unione europea per ridurre notevolmente la dipendenza energetica dalla Russia, si sta concretizzando.

Non sembra vero, dopo anni di impantanamento, ma il progetto ora si avvia alla fase esecutiva.

A gennaio, dopo l’ultima crisi del gas, il dado è stato tratto.

E’ stato deciso il percorso, fatti gli studi, stabiliti i costi, individuato il gas necessario ad avviare il progetto.

Ora si passa alla fase del finanziamento,che verrà ottenuto nel 2010 e poi via…verso nuove avventure.

Allego, per non dovermi dilungare, il link a una notizia.

Ve la segnalo perché suppongo che non leggerete, nei prossimi giorni, altro che le meraviglie del concorrente “South Stream”.

C’è però questa interessante e non casuale differenza tra i due gasdotti.

Il Nabucco va avanti tranquillo per la sua strada, senza la fanfara, le continue conferenze stampa di propaganda davanti a mezzo mondo dell’informazione e dichiarazioni roboanti sul suo velocissimo e inarrestabile successo.

Non ha bisogno di convincere il rivale a rinunciare, va avanti convinto dei suoi mezzi.

E’ un progetto nato per l’Europa, per la sua indipendenza energetica e per sopperire a future necessità che , di certo, non sarà la Russia, con una produzione di gas stagnante, a soddisfare.

Il “South Stream” è nato invece solo come progetto “contro”.

Per questo, invece di creare un progetto veramente fattibile, si è dato vita un mostro che cresce a dismisura.

Se uno dei problemi che hanno frenato il “Nabucco” è il costo non indifferente, il suo rivale lo batte di gran lunga.

Essendo ogni mossa volta soltanto a creare problemi al concorrente dell’UE , si è progressivamente aumentato il gas promesso a tutti, coinvolgendo il maggior numero possibile di società e stati, facendo quindi lievitare i costi da proibitivi a fantascientifici.

Se a questo si aggiunge la crisi economica internazionale, che non rende certo desiderosi di spendere…

Il 13 luglio 2009 ad Ankara si firma l’accordo interministeriale tra gli stati interessati al “Nabucco”?

Allora subito la Russia si organizza e risponde, il 6 agosto, con una strombazzatissima “firma del protocollo di passaggio del gasdotto nelle acque territoriali turche”.

Il propagandare ai quattro venti, come se si trattasse di avvenimenti epocali, ogni firma, ogni incontro, è tipico del disperato tentativo di rendere credibile la veloce e ineluttabile realizzazione del progetto.

Come si apprende dallo stesso sito ufficiale nemmeno sanno esattamente quale sarà il suo percorso!
http://south-stream.info/index.php?id=10&L=1

Non si sa dove passerà, non si sa esattamente quanto costa, ma si suppone sarà tre volte il “Nabucco” (che già ha costi non indifferenti) e c’è già la possibile aggiunta di un nuovo socio, la francese EDF, con altro gas da trasportare e conseguenti maggiori spese.

A proposito di gas… ma da dove arriverà?

In teoria, la nuova opera porterà gas supplementare rispetto a quello che già, attraverso Ucraina e Bielorussia, raggiunge i paesi europei.

In pratica, questo gas semplicemente non esiste e, se davvero arriverà, si tratterà del gas che passa per l’Ucraina.

Insomma una spesa colossale completamente inutile, salvo magari per la Russia.

La cosa più divertente è che Mosca sostiene che siano i concorrenti a mancare di un fornitore.

Ha voluto a tutti i costi firmare un contratto con l’Azerbaijan, per poi presentare il tutto come la prova provata che quel gas ormai è suo.

Peccato che gli azeri abbiano preteso che il contratto scadesse nel 2014 (per potersi poi attaccare al “Nabucco”) e che servisse solo per il consumo interno per la Russia meridionale,con divieto assoluto di venderlo in Europa…

Un chiaro messaggio per chi doveva intendere, e che infatti ha inteso.

Ma pare che l’importante sia solo il fumo senza l’arrosto, la propaganda senza i fatti.

Se invece la Russia fa qualcosa di davvero importante, la cosa passa inosservata ai più.

Quando, il 6 agosto, ha annunciato ufficialmente che non firmerà l’Energy Charter Treaty la cosa non ha goduto di particolare considerazione.

Ma in tal modo Mosca ha detto chiaramente che non ha alcun intenzione di vincolare i suo traffici energetici alle leggi internazionali.

Meglio aprire e chiudere i rubinetti come dettano l’umore e gli interessi politici.

Ma queste cose rafforzano nell’Unione Europea la volontà di andare avanti fino in fondo.

Ci sono certamente avvenimenti che colpiscono molto di più il mondo dell’informazione.

Se Russia e Cina firmano cento accordi veri, più uno presunto sul gas, ecco che i commenti vengono tutti pilotati, per volontà del Cremlino, su quello più fasullo.

Solo propaganda volta a creare pressione sull’Europa.



ALLEGATO: L’EUROPA DEL GAS
http://www.gie.eu.com/maps_data/downloads/GSE_STORAGE.pdf
Sophia
23 ottobre 2009 18:59
Prima di salutarvi per il week end lascio agli appassionati di questa rubrica la OTTAVA PARTE. Sulle vicende di attualità ... ritorneremo ...

-------------------------

Responsabilità politica e strumentazione economica

Alla vigilia di un nuovo round di negoziati la situazione è quanto mai aperta, ma con l’importante progresso, rispetto al passato, di un consenso quasi generale sul fatto che il problema esiste e richiede un impegno politico forte ed esteso a tutti i paesi che danno un contributo quantitativamente rilevante alle emissioni globali.

Né la via della riduzione delle emissioni né la via del progresso tecnico sono oggi in grado di mostrare una soluzione del problema. Ne risulta una convenienza a percorrerle entrambe simultaneamente.

Nessuno è oggi in grado di prevedere quali tecniche saranno per prime sviluppate e portate allo stadio dell’applicabilità economica su larga scala: lo sfruttamento dell’energia solare, sia con le tecniche fotovoltaiche? o con le tecniche termodinamiche? Lo sfruttamento dei venti anche con piattaforme offshore, quello delle correnti marine e delle maree? La coltivazione di piante combustibili? Una tecnologia nucleare sicura nella gestione e nel decommissioning degli impianti nonché nella gestione del combustibile e nello smaltimento delle scorie? Straordinari risparmi di energia attraverso il cambiamento della modalità costruttive degli edifici e delle caratteristiche dei motori e degli impianti di riscaldamento e raffreddamento?

Oggi tutte queste strade sono oggetto di intensa ricerca. Sappiamo dalla storia dell’industria che anche l’invenzione è spesso un processo graduale e cumulativo. Sappiamo che chi arriva primo ad una soluzione capace di essere diffusa gode di una rendita tanto maggiore quanto più ampio è il mercato di applicazione, e in questo caso la posta in gioco è davvero attraente.
Il compito della politica non sembra essere quello di scegliere una tecnologia e organizzare la ricerca, e nemmeno quello di imporre la riduzione delle emissioni con una disciplina militare. In entrambi i casi la pretesa di avocare le scelte a pochi decisori politici o burocratici porterebbe a perdere molte occasioni. Meglio fornire un quadro incentivante, in cui l’interesse privato viene orientato al vantaggio collettivo, e fare affidamento sulle scelte di molti e sulla disponibilità dei soggetti economici ad assumere rischi quanto ritengono di avere in mano una carta promettente.

Lo stesso disegno del quadro di incentivazioni deve avere solide basi economiche, con un’analisi di costi e benefici ben impiantata e capace di considerare effetti diretti e indiretti.
Per fare un esempio, la scelta di spendere molto danaro pubblico per la diffusione di pannelli fotovoltaici appare, in termini di costi e benefici immediati, infondata: il chilowattora così generato costa circa sette volte il chilowattora convenzionale: il danaro pubblico potrebbe essere impiegato in modo più efficiente, dato l’obiettivo ambientale, ad esempio promuovendo l’efficienza negli usi finali dell’energia; non vi è un apporto significativo all’innovazione per il miglioramento dei pannelli perché l’industria risponde alla domanda mondiale e non a quella di un paese solo. E tuttavia può essere che anche questa misura, se inquadrata in una generale campagna per l’energia pulita e la sicurezza degli approvvigionamenti, possa attrarre l’attenzione dei cittadini e orientare i loro investimenti, ottenendo un effetto moltiplicativo che la renda meno inefficiente di quanto il semplice calcolo degli effetti diretti farebbe credere.

Molto dipende dalla strategia complessiva dell’azione pubblica e della comunicazione ad essa collegata. Siamo sommersi da un tornado di comunicazione assordante, da cui sono quasi assenti le finalità di interesse pubblico che pure potrebbero essere apprezzate dai cittadini.

È stato dimostrato, sulla base di rilevazioni, che utenti in percentuale significativa sono disposti a pagare di più l’energia elettrica se potessero essere certi della sua provenienza da fonti rinnovabili.
Sophia
23 ottobre 2009 13:47
Altre news di GEOPOLITICA

24ore
Mosca, 12:36

IRAN: RUSSIA APPROVA ACCORDO PER ARRICCHIMENTO URANIO

La Russia ha approvato la bozza dell'accordo sul programma nucleare iraniano che concede a Teheran di arricchire l'uranio all'estero. "Siamo d'accordo con queste proposte", ha affermato il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov. In base all'intesa, che dovrebbe essere approvata oggi da Teheran, la Repubblica islamica deve inviare in Russia il 75% delle sue riserve di uranio che saranno arricchite fino al 20%, una percentuale che ne impedisce l'uso per finalita' militari. Poi l'uranio arricchito passera' in Francia che lo trasformera' in combustibile adatto per l'impiego in un reattore iraniano utilizzato per la ricerca medica, sotto lo stretto controllo dell'Aiea.


(23 ottobre 2009)
Sophia
23 ottobre 2009 11:09
Oggi l'ambasciata americana è alquanto "in agitazione".

Gli alleati sono sempre sempre quelli del dopo Guerra o qualcosa è cambiato per ragioni di dipendenza energetica?

Intanto sul SOLE24ORE leggo:

MOSCA - L'atmosfera è piuttosto surreale: una visita tenuta nel mistero, tanto che non ci sono certezze neppure sul luogo dell'incontro. La residenza di Vladimir Putin sul lago Valdai? Il portavoce del primo ministro russo, Dmitrij Peskov, non lo conferma, malgrado appaia a fianco di Putin nelle fotografie pubblicate sul sito del premier russo. Perché questo silenzio voluto dal Governo italiano, se il viaggio di Silvio Berlusconi in Russia ha tutta l'aria di una normale – e proficua – visita di lavoro?

In collegamento video con il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, Putin e Berlusconi hanno dato impulso al progetto South Stream, il gasdotto con cui la Russia punta a esportare gas in Europa da sud, senza passare per l'Ucraina. Da nord, la strada sarà tracciata dal gasdotto "gemello", Nord Stream. «Silvio – ha detto ieri Putin rivolgendosi a Erdogan – dice che possiamo costruire South Stream più in fretta di Nord Stream (che attarverserà il Baltico e sarà realizzato con i tedeschi, ndr). Penso che sia possibile, tutti e tre (Italia, Russia e Turchia, ndr) abbiamo già in comune l'esperienza di Blue Stream», il gasdotto di Eni e Gazprom che attraversa il mar Nero in acque territoriali turche. I tre capi di governo hanno inoltre confermato ulteriori sforzi sul fronte politico e corporate nella realizzazione dell'oleodotto Samsun-Ceyan. L'Eni è impegnata nella realizzazione del gasdotto South Stream in partnership al 50% con Gazprom e nell'oleodotto Samsun-Ceyan assiame a due imprese russe e una turca.

I progetti South Stream e Samsung-Ceyhan sono «molto importanti per la sicurezza energetica di tutta l'Europa dell'Est», ha commentato Berlusconi. Il premier ha ricordato che proprio la parte centro orientale del Vecchio Continente «già l'anno scorso ha conosciuto il freddo per il fermo che si è verificato per la fornitura dalla Russia attraverso il gasdotto in Ucraina. Attraverso queste nuove vie, per il gas e per il petrolio, io credo ci sia una diversificazione delle fonti di approvvigionamento e questo vuol dire maggiore sicurezza per tutti».

Nel pomeriggio, sempre tra Pietroburgo e dintorni, Putin e Berlusconi hanno incontrato i dirigenti delle compagnie russe legate a progetti italiani: Sukhoj, che ha costruito Superjet insieme ad Alenia, Kamaz e Sollers, partner di Fiat. Poco dopo l'incontro, le agenzie di informazione russe titolano: «Berlusconi si compra una Uaz», il fuoristrada prodotto da Sollers. È possibile – ma non è dato saperlo con certezza – che l'incontro abbia gettato il seme di un ruolo italiano nel salvataggio dell'industria automobilistica russa. Nel pomeriggio, si comunica, Putin e Berlusconi hanno approfondito tutti i temi dell'attualità politica internazionale, dal Pakistan al Libano. Ogni informazione, riguardo agli aspetti della visita che si è ritenuto di poter rendere pubblici, viene da fonti russe. Il resto, con tutto il suo carico di congetture, appartiene ai momenti "privati".

22 ottobre 2009
Sophia
23 ottobre 2009 9:40
Eh lo so, caro Francesco, che la questione è delicata e di non facile soluzione proprio per tutte le questioni geopolitiche che tocchi. E' per questo che ti ho invitato a venire a parlarne qui ... così mi aiuti!
francescomangascia
22 ottobre 2009 20:31
Sophia, ti ringrazio dell’invito e lo raccolgo, ma affrontare la Questione Energetica analizzata sia dal punto di vista della Domanda che dalla sua Offerta, senza considerare i costi finanziari e le avversità guerro-terroristiche dei trasporti, gasdotti oleodotti; lascia la porta aperta a tanti, troppi, quesiti. Troppi dilemmi. Quando hezbollah, creò le premesse per l’ultima guerra israelo libanese lo fece solo allo scopo di mettere in subbuglio il Libano, poiché lì doveva passare un oleodotto che dalla Turchia doveva raggiungere Israele, e ciò insidiava quel po' di economia entrante che anora l'Iran possidede. L’umanità è insidiata da una trappola energetica che, realmente la sta schiacciando poiché le fonti energetiche sporche, coprono i 4/5 dei consumi primari di energia, il carbone il petrolio e il gas stanno uccidendo il mondo, poiché la potenza della loro densità di energia ha un costo contenuto cui solo quello del nucleare può competere. Che faremo quando neanche il nucleare o le potenze idroelettriche potranno più supplire alla voracità di un mondo, che invece di risparmiare vuole produrre vendere e poi buttare per poter poi, produrre e vendere di nuovo . Da questa trappola, non si esce solo con una cultura, una eventuale ricerca, che ci fornisca di energia ma piuttosto considerando dei limiti alla produzione, che ormai insozza solo il pianeta, rivalutando, il risparmio. Chee te ne fai dello sviluppo economico quando tutto muore. A chi vendi, se sei dentro un cimitero?
Sophia
22 ottobre 2009 19:16
Visto che l'attualità ci porta ad anticipare certi argomenti che verranno affrontati successivamente ...

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/10/vis ti-lontano-berlusconi-party-putin.shtml?uuid=69f64eb8-bd64-1 1de-b058-134702f6b78b&DocRulesView=Libero&correlato

... prima di proseguire volevo proporvi un articolo trovato in rete che parla dell'L'asse Berlusconi-Eni-Putin nel mirino di Obama"

di Fausto Carioti

L’ipotesi del “complotto” internazionale ai danni del presidente del Consiglio inizia a farsi largo anche tra chi non ha grandi simpatie per Silvio Berlusconi. Tipo Lucia Annunziata, che ieri sulla Stampa ha parlato del possibile “complotto Bilderberg”: un club dei potenti della terra che si riunisce ogni anno sotto la guida spirituale di Henry Kissinger e traccia l’indirizzo che dovrà prendere il mondo nei dodici mesi seguenti. Inutile dire che l’impronta del circolo è spiccatamente anglosassone. Tanto più lo è stata quest’anno (l’incontro è avvenuto a cavallo della metà di maggio), grazie alla presenza di numerosi plenipotenziari della diplomazia statunitense. E dato che il governo italiano è visto a Washington come la testa di ponte mediterranea della Russia di Vladimir Putin e Dmitry Medvedev, la quale oggi è ai ferri corti con gli Stati Uniti tanto quanto lo era ai tempi di George W. Bush, la voglia di tirare le somme e dire che per la Casa Bianca (e per il “circolo Bilderberg”) Berlusconi è un ostacolo da rimuovere è forte.

I fedelissimi del premier, che pure sentono l’aria farsi pesante attorno al capo, per ora preferiscono puntare l’indice altrove. Tipo Niccolò Ghedini, che dice di vedere in atto «una forma di strategia di isolamento dell’Italia» e la imputa alla voglia di certi “poteri economici” di bloccare la Fiat nel momento in cui sta cercando di diventare una multinazionale dell’automobile. Ma è una lettura che rischia di peccare di ingenuità. Ciò che sta creando problemi agli Stati Uniti, infatti, non è la Fiat, ma la politica estera ed energetica italiana. In particolare, l’asse tra Berlusconi e Putin, cementato dalle intese tra Eni e Gazprom.

Questo quotidiano per primo aveva scritto, sei mesi fa, che Berlusconi era riuscito a «portare l’Italia nella sfera d’influenza del Cremlino e allontanarla dall’orbita americana». Oggi lo stesso concetto appare tra le righe dei commentatori di sinistra. La situazione, da allora, si è persino fatta più complicata. Perché all’epoca alla scrivania dello studio ovale della Casa Bianca sedeva Bush, un amico del nostro presidente del consiglio. Con il quale i rapporti politici erano stati molto meno idilliaci di quanto destra e sinistra volessero far credere (lo scorso settembre il vicepresidente americano Dick Cheney era venuto a Roma per criticare l’appoggio dato da Berlusconi all’operazione militare russa in Georgia), ma il feeling personale era sempre rimasto solido. Con l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca il governo italiano ha dovuto ricominciare da zero, e non è impresa facile. Anche perché Obama è personaggio freddo, calcolatore, che alla politica dei rapporti personali preferisce di gran lunga la realpolitik degli interessi. Così l’Italia, che più di tanto non ha da dare agli Stati Uniti, è stata messa nella “seconda fascia” degli alleati europei, quelli meno importanti. Stessa sorte toccata alla Spagna di José Luis Zapatero, a dimostrazione del fatto che con Obama non conta essere di destra o di sinistra, ma solo quello che puoi dare alla causa statunitense.

E l’Italia, in questo momento, sta dando soprattutto rogne. L’ultima è di pochi giorni fa. Al dipartimento di Stato americano, dove le mosse dell’Eni sono seguite con attenzione - e non certo da oggi - non è passato inosservato l’accordo siglato il 15 maggio (proprio mentre in un hotel di Atene era in corso il summit del “club Bilderberg”) tra Eni e Gazprom, ultima grande intesa strategica tra le due aziende che fanno capo al governo italiano e quello russo. L’accordo prevede che la portata del gasdotto South Stream, attraverso il quale nel 2015 il gas russo arriverà copioso in Europa e soprattutto in Italia, aumenti da 31 miliardi di metri cubi l’anno a 63 miliardi. Quanto basta, in teoria, per fornire all’Italia i quattro quinti del suo fabbisogno di metano. L’enorme infrastruttura minaccia di uccidere il gasdotto rivale, Nabucco, quando questo è ancora in fase di progettazione. E Nabucco è fortemente voluto dall’amministrazione statunitense, perché farebbe arrivare in Europa il gas di Turkmenistan, Kazakistan e Paesi vicini, sottraendolo al controllo russo. La Ue sarebbe meno dipendente dal gas del Cremlino, la Russia perderebbe potere politico nei confronti dell’Europa (oltre a una quantità di soldi difficile da quantificare) e gli Stati Uniti incasserebbero una bella vittoria nello scacchiere della geopolitica.

Il problema, appunto, è costituito da governo italiano ed Eni. Che a parole appoggiano ambedue i progetti, ma in realtà hanno a cuore soprattutto quello che li lega alla Russia e a Gazprom. Paolo Scaroni, amministratore delegato del cane a sei zampe, ormai dice apertamente di non credere più al progetto sponsorizzato dagli Stati Uniti. «Nabucco decollerà solo quando avrà il gas di Turkmenistan, Kazakistan e forse dell’Iran. Da quanto ho letto, questo non accadrà», ha detto Scaroni dopo l’accordo con Gazprom. Lui stesso, pochi giorni prima, siglando la maxi-intesa con i russi, aveva detto che dietro all’ampliamento della capacità di trasporto del gasdotto c’è «un grande significato politico, perché tutto questo gas arriverà in Europa senza dover più passare dal territorio dell’Ucraina». Troppo dipendenti dal gas russo? Affatto: in quelle stesse ore, Berlusconi commentava che «dovremmo essere felici che un paese amico ci dia la possibilità di avere l’energia di cui abbiamo bisogno». L’Unione europea (e gli Stati Uniti) avrebbero preferito invece mantenere in gioco l’Ucraina. A marzo, proprio per questo motivo, la Ue aveva siglato un’intesa con il governo di Kiev per ammodernare i gasdotti ucraini. «Una perdita di tempo e di mezzi finanziari», aveva commentato Scaroni, perché quell’intesa escludeva «chi il gas lo produce, cioè la Russia».

Insomma, le certezze sono che il patto tra Roma e Mosca è davvero d’acciaio, e che l’intesa non è solo economica, ma - per ammissione dei protagonisti - politica. Questo per Washington è un problema. Fino a che punto l’amministrazione Obama intenda spingersi e fin dove possa arrivare, è tutto da vedere.
Sophia
22 ottobre 2009 16:06
di questo argomento che ben hai colto tu RITORNEREMO con l'articolo pubblicato dal mio capo che tratta appunto i fallimenti dell'accordo di Kyoto
sugar magnolia
22 ottobre 2009 15:29
Ed ecco che la 7° parte dell'articolo dice quello che avevo sempre pensato.

Se solo l'Europa si muove, non seguita da USA (ma ora Obama dice che fara' fara' fara'....), CINA, INDIA, BRASILE etc., allora sara' solo una perdita di tempo.

Per adeguare le ns. emissioni, in campo U.E. si spenderanno un sacco di soldi che ricadranno sulla collettivita' (dell'U.E.), ma se non saremo seguiti da tutto il globo allora i benefici saranno trascurabili.

O tutti o nessuno.

Ma credo che siamo ben lontani da un'intesa globale.
Intendiamoci, a parole tutti d'accordo che bisogna cambiare rotta.

Ma quando bisogna cacciare il cash per farlo, rallentando (almeno per i primi tempi) parzialmente la produzione con esborsi enormi, beh' allora Cina e molti altri diranno..............
"SIAMO UN PAESE EMERGENTE, STIAMO EMERGENDO, INIZIATE PURE VOI"

E' cmq giusto parlarne, perche' se non si inizia almeno a parlarne non si arrivera' mai al compimento di questo cammino, che secondo me sara' lungo, lungo, lunghissimo, forse io 37enne non ne vedro' neppure la fine.
Sophia
22 ottobre 2009 12:13
Nota d'obbligo.

L'articolo è stato scritto agli inizi del 2007 dunque prima delle politiche di Obama.
Sophia
22 ottobre 2009 12:09
SETTIMA PARTE:

L’approccio basato sulla tecnologia

Soprattutto negli Stati Uniti è condivisa la persuasione che non ci sono le condizioni per fare ciò che sarebbe veramente necessario per invertire la tendenza: i costi sono troppo elevati e il disagio per i cittadini consumatori è eccessivo rispetto a quanto essi sono disposti ad affrontare, e poiché i cittadini votano, insistere su misure adeguate comporterebbe un rigetto. Secondo questo punto di vista l’opzione europea è sterile: essa è basata su di un piano d’azione che, per essere accettabile, è del tutto inadeguato.
L’opinione viene di solito accompagnata con il dubbio circa l’evidenza dell’effetto serra: l’opzione europea comporterebbe uno sforzo costoso per un obiettivo incerto. Ma anche se vi è certezza, resta l’obiezione circa il rapporto tra costo ed efficacia.
Il presidente Clinton arrivò a firmare il protocollo di Kyoto, ma non lo sottopose al parlamento essendo probabile un rigetto. Il suo successore George W. Bush ha imboccato chiaramente l’opzione alternativa, basata da un lato sullo sviluppo dell’offerta di energia da fonti nazionali anche a scapito dell’ambiente pur di assecondare la crescita economica e di ridurre la dipendenza da fornitori esteri, specie se politicamente inaffidabili, e dall’altro sull’intensificazione degli sforzi di ricerca per l’energia pulita, nella convinzione che solo la tecnologia potrà portare l’umanità fuori dal vicolo cieco. Quindi forti investimenti nelle tecniche di combustione e di neutralizzazione delle emissioni (designate come carbon capture and storage o carbon sequestration) e nelle fonti rinnovabili.

L'articolo continua afftontando le seguenti questioni:

* Responsabilità politica e strumentazione economica
* Liberalizzazione dei mercati energetici e impatto ambientale
* La posizione dell’Italia
* Tabelle e Grafici
Sophia
21 ottobre 2009 16:24
@ tnt

indirettamente. ma non in maniera "dedicata" nel senso di tecnica. diciamo che mi occupo più che altro di organizzare eventi, convegni, seminari, corsi su argomenti tipo questi. ho la fortuna di chiacchierare con molte belle menti. ma non sono io il genio/competente in materia che saprebbe rispondere a tutte le domande.

@ sugar

una cosa che mi ha insegnato la mia esperienza nei laboratori partecipativi è che comunque tutti sanno "ragionare". Le info degli esperti devono servire solo come spunto per un ragionamento autonomo. Ma non è detto che i partecipanti alla discussione non sappiano aggiungere tasselli e punti di vista nuovi e interessanti che l'esperto non aveva considerato.
t_n_t
21 ottobre 2009 16:08
Sophia, in effetti anch'io posso solo leggerti perchè stai dando informazioni di cui sono proprio digiuno...questo è forse il tuo ambito di attività?
Scusa la curiosità.
sugar magnolia
21 ottobre 2009 15:53
Non e' noioso (almeno per me), e' solo che l'argomento e' tecnico, quindi, se non hai una competenza specifica, una volta detto quel poco che sai, puoi solo leggere.
Sophia
21 ottobre 2009 15:48
A me intanto fa molto piacere constatare che siete in diversi ad aprire questo TOPIC un po' noioso e di non facile trattazione.

Vuol dire che l'argomento in qualche modo interessa.

bene .. a breve arriveremo a parlar anche dei russi ...
fatti & misfatti
21 ottobre 2009 14:57
Per Danilo e Sugar

Della serie: "La comunicazione efficace è il mio motto".

Sono quasi sicuro che se il primo si fermava al pezzo di frase che precedeva "ma non venire a rompere i coglioni...", il secondo non repicava con un riecheggiante "ma vaffanculo...".

Si possono giustamente esprimere i propri legittimi pensieri senza per forza voler decisamente urtare l'interlocutore; Danilo, avevi ragione a fargli la precisazione ma in quel modo sei passato in torto e Sugar si è sentito legittimato a mandartici...anche se poteva replicarti con miglio stile.

Vabbè, ma chi sono io per fare la morale ad entrambi...andiamocene 'affanculo tutti e 3...

...ma il messaggio sarà arrivato?
Sophia
21 ottobre 2009 14:35
Visto che oggi dimostrate molto interesse per questo topic ... vi accontento ... e vi lascio il bis:

SESTA PARTE

L’approccio di Kyoto

La strategia che meglio conosciamo e di cui più discutiamo è quella rappresentata dall’accordo stipulato a Kyoto e centrata sulla stabilizzazione delle emissioni nel periodo 2008-2012 al livello del 1990. Non è ancora una riduzione, quindi, delle emissioni e tanto meno della concentrazione; è un primo passo sperimentale, per compiere un passo più impegnativo nella seconda fase, quella successiva al 2012. Mentre stiamo verificando i risultati ottenuti con il primo accordo, dobbiamo avviare i lavori per il secondo accordo perché i cinque anni 2007-2011 non sono un periodo eccessivo data la complessità tecnica e politica del negoziato e la necessità che ciascun governo abbia definito gli impegni almeno due o tre anni in anticipo per poter avviare le politiche necessarie a onorarli.
In realtà gli obiettivi del protocollo di Kyoto comportano una sostanziosa riduzione delle emissioni non già rispetto al 1990 ma rispetto ai livelli già raggiunti al momento della sua entrata in vigore nel 2005, quando le emissioni globali erano già ben più elevate di quelle del 1990. La riduzione concordata differisce a seconda di varie circostanze quali il grado di sviluppo del paese. L’assegnazione degli obiettivi è stata effettuata a Kyoto a livello globale, poi l’obiettivo dell’Unione europea è stato a sua volta tradotto in obiettivi nazionali alla fine di un negoziato interno.
Il compito è facile solo per i paesi dell’Europa orientale, ove la gravissima crisi economica seguita alla fine del regime comunista e l’abbandono di un’economia inefficiente, orientata ad elevatissimi consumi di energia fornita a prezzo politico, ha fatto scendere le emissioni ben oltre quanto richiesto dal protocollo di Kyoto. Per tutti gli altri l’obiettivo è difficile e in generale risulta ormai chiaramente che non verrà raggiunto.
Ma la limitazione maggiore dell’operazione in corso è che i paesi impegnati coprono solo una parte del mondo e quindi del problema. Restano fuori gli Stati Uniti, la Cina e l’India, tanto per citare i maggiori. I paesi in rapido sviluppo, alla rincorsa del benessere definito dal modello dei paesi più ricchi, resistono a qualsiasi accordo che imponga loro un rallentamento, e finchè le loro emissioni pro-capite sono enormemente più basse delle nostre hanno una ragione forte per resistere.
D’altra parte il peso dei paesi nuovi negli scenari di emissione dei prossimi decenni è così grande che qualsiasi accordo che non li comprenda appare come un esercizio di virtù privo di effetto pratico.
Ci troviamo quindi in una situazione di interdipendenza delle decisioni in condizioni di incertezza, come un “dilemma del prigioniero” in cui la soluzione cooperativa è d’obbligo ma richiede una trattativa che nella politica mondiale si mescola inevitabilmente con molti altri oggetti di negoziato, diventando difficile da raggiungere.
Poiché gli obiettivi al 2008-2012 non vengono raggiunti, molti parlano di fallimento del protocollo di Kyoto, e con qualche ragione. Tuttavia bisogna riconoscere che si tratta di un tentativo di accordo mondiale su di una questione molto delicata, che comporta costi elevati ed effetti importanti sullo sviluppo, e che quindi raggiungere una soluzione al primo colpo era molto difficile.
Il vero test sarà l’accordo per il post-2012. Se ci si arriverà, il protocollo di Kyoto avrà consentito una prima approssimazione forse indispensabile per giungere alla seconda.
sugar magnolia
21 ottobre 2009 14:27
Pardon

era

VAFFANCULOOOOOOOOOOOOO
sugar magnolia
21 ottobre 2009 14:27
DANILO ......... LA SENTI QUESTA VOCE ??????

MA FAVVANCULOOOOOOOOOOOOO

E STACCI !!!!!!!!!!

COGLIONE !!!!!!!!!
Sophia
21 ottobre 2009 14:12
No, dai Danilo. Non essere così duro che non ce n'è motivo.

E' vero che l'argomento è complesso e non di facile trattazione. Ma se volevo il silenzio di un convegno mi cercavo altri spazi. Qui in questo forum-caffè di aduc va bene anche così con tutte le pause di gestione che servono.

Nei prossimi giorni vi posto il seguito sempre per piccole dosi.

E, se e solo se, gli argomenti vi interessano potrei postarvi anche un altro interessante articolo di una altro autorevole esperto dal titolo "PERCHE' è FALLITO l'ACCORDO di KYOTO?".

Sono sempre argomenti introduttivi. Però ci aiutano a capire il contesto complicato in cui ci muoviamo.
danilo
21 ottobre 2009 13:33
scusa, Sugar,

Sophia sta disperatamente ( e secondo me senza speranza di successo ) tentando di allestire una discussione interessante, attuale e che ci vede protagonisti e tu continui a riportare dentro delle situazioni che non c'entrano niente e che lei stessa ha intenzione di sottovalutare.

vai sul topic degli off-topic e postagli quello che senti impellente, ma non venire a rompere i coglioni con firs anche quì. il forum aduc ne ha avuto abbastanza.

danilo.
sugar magnolia
21 ottobre 2009 13:20
SOFI
chiedevo solo al Direttore, che mi sembrava 'sparito dall'etere' se per caso non fosse a svernare in qualche luogo di villeggiatura tipo (ad esempio) il Brasile.

Ma era solo una battuta.

Ricordo infatti di aver letto "di la'" qualcosa riguardo ad un sito brasiliano che aveva provocato un casino tra voi (era una delle poche cose che avevo capito), ma non era piu' nei miei pensieri.

Pero' se hanno usato nome e cognome (trovato non si sa come) per offendere te e Kumbaz allora avete ragionissima, ma non e' il caso di SAVP.

Scusa se sono OT, ma li avete denunciati??
Se si' immagino che non si arrivi poi a nulla perche' il Provider e' sito in un posto del cazzo e per alcune offese i tribunali non attiveranno certo una Rogatoria internazionale.

Pero' da' fastidio, e anche tanto.

ps
l'articolo e' interessante, hai fatto bene a postarlo in piu' "puntate", altrimenti risulta Heavy
Commenti
|<   <- 31-60/97 ->   >|