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Hadabipahubati 6 luglio 2009 0:00
Krishna Mahaprabhu Chaitanya (1486-1533), cui si è fatto
cenno nell'introduzione generale all'induismo,
promuove agli inizi del XVI secolo un importante movimento
devozionale in Bengala incentrato sulla devozione a Krishna,
il quale diverrà poi noto come gaudiya-vaisnava-sampradaya.
I fedeli di Chaitanya si stabiliscono dapprima a Vrindavana
(Uttar Pradesh) e poi in Bengala, e la loro tradizione
continua pressoché ininterrotta fino ai giorni nostri.
Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del
Novecento, nel quadro di una generale riscoperta delle
tradizioni devozionali induiste, il culto di Krishna (e di
Chaitanya, considerato egli stesso un avatar), è
rivitalizzato da Thakura Bhaktivinoda (1838-1914) e da suo
figlio Bhaktisiddhanta Sarasvati (1874-1937), fondatore
quest'ultimo della Gaudiya Math. Con Bhaktisiddhanta
Sarasvati entra in contatto nel 1920 Abhay Charan De
(1896-1977) - in seguito iniziato al samnyasa (ordine di
rinuncia) con il nome di Bhaktivedanta Svami, e generalmente
più conosciuto con il titolo di Srila Prabhupada
("colui ai cui piedi siedono i maestri") -, un
giovane dirigente industriale di Calcutta che ha ricevuto
un'educazione occidentale, ma il cui padre è un devoto
di Krishna. Nel 1932 un secondo incontro convince Abhay
Charan De a entrare nel Gaudiya Math. Nel 1936, poco prima
di morire, Bhaktisiddhanta Sarasvati raccomanda al discepolo
di dedicarsi alla predicazione in Occidente. Fra
il 1944 e il 1960 Abhay Charan De cerca di diffondere in
India una "Lega dei Devoti", con un successo
limitato. Negli anni 1950, a seguito della chiusura degli
affari e della fine del suo matrimonio, si dedica a tempo
pieno al culto di Krishna come monaco nella cittadina di
Vrindavana. Finalmente nel 1965 - a quasi settant'anni,
e con poco denaro - Bhaktivedanta si trasferisce a New York,
per diffondere negli Stati Uniti la devozione a Krishna. Nel
settembre del 1965, solo e senza conoscenze, cerca dapprima
di attirare l'attenzione cantando da solo, in luoghi
frequentati di giovani, il nome di Krishna. Sono gli anni
della controcultura e della contestazione, e un certo numero
di giovani è incuriosito e affascinato dall'anziano
maestro indiano. Con un piccolo gruppo di seguaci, nel 1966
fonda a New York la International Society for Krishna
Consciousness ("Società Internazionale per la
Coscienza di Krishna", ISKCON), popolarmente conosciuta
come movimento Hare Krishna.
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Hadabipahubati 5 luglio 2009 0:00
Scacco Matto Vittoria dell’ISKCON in
Russia----------------- A Mosca i devoti Hare Krishna
sono impegnati nella costruzione di uno straordinario
tempio vedico e di un centro culturale. Uno sguardo
indietro per vedere come sono arrivati a questo punto.
------------------------------------- Calava la sera
dell'undici luglio del 1972. Appassionati del gioco
degli scacchi riempivano un'area sportiva a Reykjavik in
Islanda, mentre milioni di persone guardavano la televisione
o ascoltavano la radio. In quella che fu chiamata «la
partita del secolo», Bobby Fischer sfidava Boris Spassky,
il campione mondiale russo di scacchi, per il titolo, ben
sapendo che uscirne vittorioso avrebbe avuto ripercussioni
sul mondo della Guerra Fredda. Solo un anno prima, Srila
Prabhupada aveva elaborato uno stratagemma per portare Dio
nell'atea Russia Sovietica. Se consideriamo la ricerca
di Prabhupada come una partita di scacchi, sarebbe sembrato
che avesse pochi pezzi sulla scacchiera, mentre i sovietici
avevano i pezzi più importanti e bloccavano posizioni
chiave. Ma anche un solo pedone o un cavaliere sostenuti dai
più potenti re e regina possono a volte dare scacco matto a
castelli fortificati e a brillanti strateghi. Perciò, la
storia della vittoria di Prabhupada mette in ombra quella
del Campionato mondiale di Scacchi del 1972.
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Vincent Brhaman 5 luglio 2009 0:00
Hare Krishna........
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Wavtava Harare Gudima 5 luglio 2009 0:00
Siva, Sukadeva Gosvami, Devarsi Narada, e tutti i jnani e i
grandi muni, capeggiati da Brahma, ti girano attorno. O
madre! O Maharani, così Candrasekhara canta le tue glorie.
Per favore concedimi il dono della pura devozione.
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Xluaia Der Stadt 3 luglio 2009 0:00
IL PESSIMISMO E LA TRADIZIONE FILOSOFICA OCCIDENTALE
Nel linguaggio popolare il termine pessimista è
riferito a persone che vedono abitualmente la vita sotto un
aspetto fortemente malinconico, che considerano le
esperienze dolorose quasi desiderabili — per lo meno nel
senso che non saprebbero come vivere diversamente. Per loro
il dolore è familiare. Inoltre questo tipo di persone, in
genere, apprezza poco gli aspetti piacevoli o positivi della
vita. In alternativa, i pessimisti a volte desiderano
davvero la felicità nel normale significato positivo della
parola, ma sono molto dubbiosi sulla possibilità
d’ottenerla. Questi sono due classici tipi di pessimismo.
Come sistema filosofico, il pessimismo fa riferimento alla
presenza del male nel mondo, alla sofferenza interiore che
deriva dai limiti materiali. Le persone amate se ne vanno o
muoiono, le situazioni a cui ci attacchiamo cambiano
improvvisamente, ansietà di fondo si fanno strada nella
nostra vita, specialmente il buco nero del fatto di essere
mortali — tutto questo provoca sofferenza sia a livello
grossolano che sottile. In Occidente il filosofo
Leibniz ha insegnato che il dolore è parte integrante di
un’esistenza limitata e temporanea. Per esempio, egli
diceva, non vogliamo vedere la fine del piacere,
dell’amore e della vita e tuttavia esse devono finire. Il
principio da cui nascono dolore e male — la temporaneità
di tutte le cose materiali — è così visto come una parte
essenziale della natura. Questa idea è chiara anche nel
pensiero buddista, dove le Quattro Nobili Verità
classificano le sofferenze in molti modi insieme ad un
coerente sistema per la loro cessazione. Questo è insegnato
anche nella Bhagavad-gæta, su cui si basa la coscienza di
Krishna. Arthur Schopenhauer è considerato uno dei padri
del pessimismo, come scuola di pensiero filosofico. Le sue
parole, per lo meno per quanto concerne la sofferenza,
echeggiano le verità che si trovano nella letteratura
vedica. In definitiva, Schopenhauer ci dice:
“Tutta la vita è sofferenza.” Egli spiega questo
facendo notare che tutti gli esseri viventi hanno desideri,
volontà e necessità. “La vita è desiderio,” afferma,
“e poiché questi desideri sono per la maggior parte
insoddisfatti, la vita si svolge prevalentemente in uno
stato di sforzo insoddisfatto e di privazione.” La sua
analisi mi ricorda qualcosa che ho detto al mio dentista:
tutti gli sforzi per la felicità materiale ricadono in tre
grandi categorie e il risultato di tutti questi è la
sofferenza: (1) Cercare la felicità e non ottenerla. Si
soffre per ovvie ragioni. (2) Cercare la felicità ed
ottenerla, ma essa non è all’altezza delle nostre
aspettative. Ecco di nuovo la sofferenza. (3) Cercare la
felicità ed ottenerla ed essa è davvero all’altezza
delle nostre aspettative, ma dopo un po’ di tempo la
perdiamo. Esiste qualche forma di felicità materiale che
non rientri in una di queste tre categorie? “E perfino
quella che noi chiamiamo felicità,” afferma Schopenhauer,
“in verità è solo una temporanea cessazione di qualche
particolare sofferenza.” Tutto ciò che dà
piacere ovverosia quello che comunemente viene chiamata
felicità, è in realtà essenzialmente sempre e soltanto
negativo e mai positivo. Non è un piacere che ci perviene
originariamente e spontaneamente, ma deve essere sempre la
soddisfazione di un desiderio. Infatti il desiderio o come
si dice il senso di mancanza è la condizione che precede
ogni piacere; ma con la soddisfazione, il desiderio e quindi
il piacere cessano; e perciò la soddisfazione o la
gratificazione non può mai essere niente di più che una
liberazione da una sofferenza, da un desiderio. La
tradizione vedica sviluppa questa stessa idea. Srila
Prabhupada si riferisce spesso alla felicità del mondo
materiale come semplice “cessazione della sofferenza”.
Egli usava l’analogia dello sgabello che veniva immerso
nell’acqua. Per punire i malfattori, i carcerieri usavano
legare i criminali ad un tipo di sgabello che veniva immerso
su e giù nell’acqua, facendoli andare sott’acqua e poi
ogni tanto sollevandoli. Boccheggiando per la mancanza
d’aria, il criminale carcerato godeva del semplice atto di
respirare come del più grande dei piaceri. Similmente
Prabhupada ha insegnato che poiché il mondo materiale è
così privo di ogni vero piacere — di ogni piacere
sostanziale — , le stimolanti sensazioni del corpo e della
mente sembrano molto attraenti, come pochi preziosi respiri
ad una persona che affoga.
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Zuhng Xen Nam Kee 3 luglio 2009 0:00
LE QUALITÀ DI VYASA Dalla letteratura vedica
apprendiamo le qualità straordinarie di Vyasadeva. Egli è
identificato nel Mahabharata e nei Purana come Bhagavan,
ossia la Persona Suprema, e talvolta Egli è definito
un'incarnazione di Narayana. Nella Bhagavad-gita,
Krishna afferma d'essere Vyasa tra i saggi (10.37) e
Arjuna cita Vyasa come un'autorità a proposito
dell'identità di Krishna. (10.13). Srila
Prabhupada risolve la possibile confusione riguardo
all'identità di Vyasa: Vyasa è Dio solo nel senso
che è uno saktyavesa-avatara, un jiva eternamente liberato
(un'anima come noi, non il Signore Supremo), in modo
particolare investito di potere grazie a un'opulenza
degna di Dio. Sia nel Mahabharata sia nei Purana Vyasa
è definito: 1) unrishi, un veggente, 2) un
ritvij, ossia un sacerdote, 3) un tapa-svin, o un
asceta, 4) uno yogi, ossia un mistico 5) un
guru. I Purana e il Mahabharata riferiscono
esempi sull'abilità di Vyasa nel prevedere il
futuro. Lo Srimad Bhagavatam (1.4.16-33) asserisce che
egli previde il Kali-yuga incombente con la relativa
conseguente degradazione. Nella letteratura
dell'Itihasa Purana egli viene citato ripetutamente come
ritvij, ossia un "sacerdote". Nel Mahabharata
egli celebrò per i Pandava importanti rituali vedici, e fu
sacerdote in carica durante i sacrifici Rajasuya e
Asvamedha. Nel Mahabharata Vyasa è citato come modello
di ascetismo. Egli esibì molti poteri mistici -
inclusa la sua conoscenza sovrannaturale di passato,
presente e futuro - il che si dice fosse il risultato delle
sue penitenze e austerità. Egli è in grado di
apparire e scomparire secondo la sua volontà e di elargire
favori e anche di annullare maledizioni.
IL GURU ORIGINALE Come preminente maestro
di conoscenza vedica, Vyasadeva è considerato il guru
originale. Secondo il Mahabharata egli era noto come
guru per coloro che condividevano con lui la conoscenza
vedica - Paila, Jaimini, Vaisampayana, Sumantu, Romaharsana
Suta, Sukadeva e altri, si riferivano tutti a lui come
"il guru". Vyasa aveva una relazione
informale di guru con i cinque principi Pandava che lo
consideravano il loro "benevolo consigliere"
(mantri priyahitah). In tutti i corollari vedici, Vyasa
agisce come perfetto guru dando istruzioni a grandi
personalità che appaiono in quei testi. Fu lui a
instillare nel cuore di Sukadeva Gosvami il messaggio del
Bhagavatam. Srila Prabhupada si riferisce a Vyasadeva
definendolo "il precettore spirituale di tutto il
genere umano". In onore di Vyasa i vaisnava
celebrano una festa annuale nel giorno dell'anniversario
della nascita del loro maestro spirituale, giorno noto come
Vyasa-puja. Il guru autentico è il rappresentante di
Vyasa, il guru perfetto. Vyasa è inoltre considerato
per tradizione uno dei sette ciran-jiva, o persone immortali
(gli altri sono Asvatthama, Bali, Hanuman, Vibhisana, Kripa
e Parasurama). È detto che ancora oggi Egli può
essere trovato in una caverna dell'Himalaya, da
ricercatori d'eccelso merito.
Satyaraja Dasa è un discepolo di Srìla Prabhupada e anche
un regolare collaboratore di Back to Godhead (Ritorno a
Krishna). Ha scritto numerosi libri sulla coscienza di
Krishna. Vive a New York con sua moglie.
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WASI 2 luglio 2009 0:00
he krishna karuna-sindho dina-bandho jagat-pate gopesa
gopika-kanta radha-kanta namo 'stu te
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Hadabipahubati 1 luglio 2009 0:00
Portare Goloka a Vaikuntha In uno dei più famosi
luoghi di pellegrinaggio dell’India, un nuovo tempio
Hare Krishna fa risaltare la speciale devozione della
successione disciplica che discende dal Signore Caitanya.
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ghas 1 luglio 2009 0:00
"Bhagavad gita" significa "Il canto del
beato". Si tratta di un antico poema indiano, che narra
del dialogo tra il principe-guerriero Arjuna e il Dio
Krishna sul campo di battaglia di Kuruksetra.
L'antefatto, narrato nel Mahabaratha, è quello di una
faida famigliare che porta Arjuna e i suoi fratelli ad
essere defraudati del proprio regno. Al momento della
guerra, Arjuna sceglie di allearsi a Krishna, che gli si
offre come auriga. Ma di fronte alla propria famiglia
schierata per la battaglia, Arjuna è assalito dal dubbio...
Il dialogo tra il principe e il Dio è la summa della più
antica tradizione filosofica indiana. In esso sono
illustrati i diversi cammini, le regole dell'agire
spirituale, il fervore del mistico, la disciplina
dell'asceta - perché in tutti è il seme della verità,
come infinti sono i volti di Dio.
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Jug 1 luglio 2009 0:00
Seminari e Concerti di Krishna Dās
http://www.krishnadas.it/europa.htm
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Parhnama Pari Zualigh 29 giugno 2009 0:00
Hare Krishna
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Zuhng Xen Nam Kee 29 giugno 2009 0:00
Aprendo il loto. Nella Guyana, in Sud America, si
stanno aprendo templi Hare Krishna e altri progetti per
mostrare la straordinaria bellezza e il fascino di Krishna.
Nel luglio del 2005, i devoti della Guyana, in Sud
America, hanno celebrato per la prima volta in diciotto anni
il festival del Ratha-yatra del Signore Jagannatha. I devoti
della Guyana che vivono nella nostra comunità di New Raman
Reti Dhama ad Alachua in Florida hanno incoraggiato tutti a
visitare la Guyana in occasione del festival. L'Ashirvad
Mandir di Sri Sri Gaura-Nitai dell'ISKCON in Guyana
domina i verdi campi lussureggianti della regione Demerara
sulla costa occidentale. Mia moglie, Yauvanananda Dasi, ed
io aderimmo subito. Da molto tempo mia moglie voleva tornare
a visitare la Guyana, la terra dove era nata. Io avevo
sentito molto spesso parlare della straordinaria ospitalità
dei Vaisnava della Guyana e la mia amicizia con devoti
provenienti dalla Guyana, che ora vivono in Florida, mi
spinse a desiderare d'incontrare altre di queste anime
così gentili e sante. Per preparare il nostro
viaggio, mi documentai su quel paese: la Guyana è situata
sulle coste caraibiche del Sud America, compresa tra il
Venezuela ad ovest, il Suriname ad est e l'immenso
Brasile a sud. Ha all'incirca la stessa estensione del
Regno Unito con una popolazione di meno di 700.000 abitanti.
Più del novanta per cento della popolazione vive lungo le
coste, poiché la parte interna del paese è costituita per
lo più da una fitta giungla tropicale. È l'unico paese
del Sud America in cui si parla l'inglese. Da quando si
è resa indipendente dalla Gran Bretagna nel 1966, la Guyana
ha attraversato periodi di difficoltà economiche e di
radicali cambiamenti sociali. Durante gli anni
'80 in particolare, molte migliaia di persone emigrarono
in cerca di una vita migliore in qualche altro posto. Ora
più di 300.000 di loro vivono negli Stati Uniti. Potremmo
chiederci, perché andare in un luogo da cui così tante
persone se ne sono andate? Da un punto di vista puramente
materiale, non sembrerebbe desiderabile. Un Vaisnava, però,
segue criteri diversi per fare dei piani di viaggio. Se ci
vado, farò cosa gradita a Dio, la Persona Suprema? Ci sarà
qualche servizio che potrò fare per il Signore e i Suoi
devoti? Potrò avere l'associazione con persone sante,
stabili nel percorso del servizio di devozione? Potrò
essere di qualche aiuto ai devoti che stanno diffondendo lì
la coscienza di Krishna? Tutto faceva prevedere che questi
scopi sarebbero stati soddisfatti se fossimo andati al
festival del Ratha-yatra del Signore Jagannatha a
Williamsburg, nella Guyana. Inoltre Krishna, il
Signore Supremo, nella Sua incantevole forma di Signore
Jagannatha, avrebbe percorso le strade, con i Suoi fedeli
devoti intorno al Suo carro in una grande parata con canti e
danze. Per di più la nostra visita si sarebbe svolta con
una certa comodità. Avremmo visitato alcuni templi già
aperti nella Guyana dall'Associazione Internazionale per
la coscienza di Krishna. All'inizio dei primi anni
'70, i devoti Hare Krishna avevano compiuto il duro
lavoro di diffondere la coscienza di Krishna nelle
circostanze più difficili. Sua Santità Hridayananda
Goswami e Mahavira Dasa furono i primi discepoli di Srila
Prabhupada a visitare la Guyana. In seguito, Bhutadi Dasa,
uno dei primi discepoli di Srila Prabhupada in Guyana, fu il
pioniere di una sistematica distribuzione dei libri e di
altri programmi per portare la coscienza di Krishna in
questa terra. Nel 1981, Sua Santità Satsvarupa
Dasa Goswami dette le prime iniziazioni ai suoi discepoli.
Negli anni '80 con l'arrivo di Agrani Dasa dagli
Stati Uniti, la presentazione della coscienza di Krishna al
pubblico assunse una nuova dimensione. Nelle città e nelle
cittadine di lutto il paese si tenevano programmi nelle
tende, interviste con personalità note, rappresentazioni
teatrali e proiezioni di diapositive che illustravano vari
aspetti della filosofia Vaisnava; si provvedeva anche a
distribuire cibo vegetariano santificato offerto a Krishna.
In seguito Candravali Devi Dasi, una signora della Guyana
che si era unita all'ISKCON dopo aver frequentato uno
dei programmi nelle tende, con le sue qualità spirituali,
ispirò molte persone ad aderire alla coscienza di Krishna.
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Parhnama Pari Zualigh 29 giugno 2009 0:00
L'ALBERO DEL SIGNORE NITYANANDA Nel cuore di
Panihati c'è un ghat, una serie di grandi gradini che
scendono verso il fiume. Oggi alcune persone sono venute ad
offrire i loro rispetti al santo Gange, mentre altre si
trovano qui per lavare la loro biancheria, fare un bagno o
semplicemente per sedersi con gli amici e chiacchierare.
Poco vicino c'è un piccolo porto dove può essere preso
un battello. Vedendolo, ho ricordato che Srila Prabhupada
desiderava incrementare un servizio veloce di battelli da
Calcutta a Mayapur, con una fermata a Panihati. Vicino al
ghat c'è un grande albero baniano collegato con i
divertimenti del signore Nityanananda Prabhu. Si dice che
abbia più di settecento anni. Una volta, Raghunatha Dasa
Gosvami, uno dei principali seguaci di Sri Caitanya
Mahaprabhu, venne a Panihati per incontrare il Signore
Nityananda Prabhu. Quando Raghunatha Dasa arrivò, vide
Nityanananda Prabhu seduto sotto questo grande albero in
compagnia dei Suoi devoti, come il sole effulgente
circondato da molti pianeti nell'orbita. Il
racconto di quello che accadde quel giorno costituisce una
delle più famose storie del Vaisnavismo Gaudiya. Unico
figlio di un ricco possidente terriero, Raghunatha Dasa
desiderava lasciare la sua ricca casa e diventare un
sannyasi, un uomo nell'ordine di rinuncia. Egli era
completamente dedicato ai piedi di loto di Sri Caitanya
Mahaprabhu, e ne la grande ricchezza e influenza della sua
famiglia ne una bella e giovane moglie potevano fermarlo dal
cercare di lasciare la sua casa. Suo padre aveva persino
assoldato delle guardie del corpo per impedire a suo figlio
di fuggire via nel mezzo della notte. Dopo aver ricevuto da
Caitanya Mahaprabhu l'istruzione di rimanere il più
possibile un responsabile uomo di famiglia, Raghunatha Dasa
era insoddisfatto. Conoscendo bene che il modo migliore per
ricevere il favore del Signore Caitanya era quello di andare
da Lui attraverso Nityananda, Raghunatha comprese che doveva
umilmente sottomettersi a Nityananda Prabhu. Fu
proprio in questo posto che Nityananda Prabhu concesse la
Sua misericordia a Raghunatha Dasa. Posando i Suoi divini
piedi sulla testa di Raghunatha Dasa, il Signore gli dette
l'istruzione di organizzare un pic-nic di cira-dahi
(yogurt e riso schiacciato) per tutti i devoti. Raghunatha
Dasa immediatamente procurò gli ingredienti necessari:
yogurt, riso schiacciato, dolci, banane e zucchero. Presto
la festa fu pronta. Quando i devoti sentirono del festival,
vennero da ogni dove, ed in breve tempo furono così
numerosi che nessuno era in grado di contarli. Si formò un
affollamento così vasto che molti dovettero mangiare stando
nelle acque del Gange. Mentre gustavano il cira-dahi,
Nityananda Prabhu chiedeva ad ognuno di cantare "Hari,
Hari," e tutti sentirono una grande estasi.
Situata direttamente sul Gange, soltanto quindici chilometri
a nord di Calcutta, Panihati storicamente è stata
conosciuta come un centro del commercio del riso. Inoltre,
il nome Panihati denota che è anche un luogo di commercio
sull'acqua. Mentre il festival si svolgeva nel pieno
dell'estate, proprio quando i monsoni stavano per
cominciare, le preparazioni cira-dahi erano perfette come
cibo rinfrescante per tutti i compagni del Signore
Nityananda. Ogni estate questo festival è ancora celebrato
con centomila devoti che partecipano. L'albero sotto il
quale Nityananda Prabhu era solito sedersi è
impressionante. È chiaramente molto antico. E elevato dal
suolo di molti centimetri ed è circondato da un parete di
argilla circolare di contenimento. Oggi siamo
fortunati di vedere delle divinità di argilla di Radha e
Krishna sotto l'albero, forse lasciate qui da un recente
festival. Alberi baniani più piccoli circondano il tronco
centrale, formando una protezione somigliante a un grande
ombrello che blocca il sole. Sotto l'albero c'è una
piccola struttura dove i devoti vengono a cantare inni e a
compiere cerimonie religiose. Alcune persone fanno un
pic-nic e semplicemente si rilassano nell'ombra. Non
c'è altro che un tetto di creta, pavimento e colonne ma
è abbastanza. Oggi due sorelle stanno usando il posto per
compiere la cerimonia dello sraddha in onore del loro padre
deceduto.
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Zuhng Xen Nam Kee 29 giugno 2009 0:00
Uscire dalla stazione della Metro di Calcutta è sempre un
po' uno shock. La Metro, o sotterranea (subway) come
questo nativo di New York non smette mai di chiamarla, è
fonte di grande orgoglio per gli abitanti di Calcutta.
Pulita e ordinata anche secondo gli standard occidentali, le
sue stazioni di marmi e di graniti sono notevolmente ben
tenute. Le carrozze di fabbricazione tedesca offrono un
viaggio confortevole, benché sicuramente non lussuoso. Non
sono tollerati, sia nelle stazioni sia nelle carrozze,
contaminazioni, scritte o sputi. Sfortunatamente,
l'ambiente protetto della Metro, si dissipa velocemente
non appena si raggiunge il livello della strada. Emergendo
dal nostro paradiso sotterraneo, io ed i miei compagni di
viaggio siamo presto avvolti in un incessante movimento di
folla. Non esiste altra scelta che prendere l'onda e
viaggiare con essa. Minacciati di essere travolti, ci
adeguiamo e iniziamo a muoverci. Oggi stiamo
visitando un importante luogo di pellegrinaggio Gaudiya
vaisnava, Sri Panihati Dhama. Il tempio Hare Krishna di
Atlanta, per gli ultimi tredici anni, si chiama New Panihati
Dhama derivando il suo nome da questo santo luogo. Oggi, i
miei compagni di viaggio sono Amitejas Dasa e Amrita Jivani
Dasi, che risiedono anche ad Atlanta, ma sono originari di
Calcutta. Nonostante abbiamo visitato Panihati molte volte,
questa è la nostra prima esperienza di viaggio fatto
esclusivamente con trasporti pubblici. Dopo un breve viaggio
con un ciclo-ricksaw a pedali verso la stazione della Metro,
impiegammo solo quarantacinque minuti per raggiungere la
stazione più a nord di Calcutta. chiamata Dum Dum dopo il
famoso fucile che gli Inglesi producevano in questo posto.
Una stazione delle Ferrovie Orientali si trova a fianco
della Metro, e qui acquistiamo i biglietti per viaggiare col
treno locale attraversando tre stazioni verso Sodapur. Fuori
della stazione di Sodapur veniamo indirizzati verso una
stazione di auto-ricksaw. Dopo un viaggio del costo di tre
rupie e mezzo ci troviamo proprio vicino al Gange a
Panihati.
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Hadabipahubati 29 giugno 2009 0:00
PANIHATI In questo importante santo luogo della Gaudiya
Vaisnava appena a nord di Calcutta, ogni anno si tiene un
grande festival che commemora un evento in grado di cambiare
la vita.
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Quzzaharari 29 giugno 2009 0:00
Festa della Domenica PROGRAMMA Ore 17.30:
Canti e danze devozionali Ore 18.00: Conferenza
sui Testi Vedici (reincarnazione, karma, mondo
spirituale) Ore 19.15: Antichi rituali Vedici
Ore 20.00: Banchetto spirituale vegetariano
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Jhanabasi 29 giugno 2009 0:00
Il Japa che Apre il Cuore. Uno sguardo alle “Otto
Istruzioni” di Sri Caitanya ed alla loro importanza
per il japa, la pratica individuale del canto Hare
Krishna. Una volta un amico mi parlò di questa
analogia con la vita spirituale: uno stormo di oche acquista
forza volando in una formazione a V, ma se un’oca cade, le
altre non possono aiutarla. Nello stesso modo, sebbene
coloro che ricercano la conoscenza si aiutino l’un
l’altro, il successo in definitiva è legato allo sforzo
personale e alla gentilezza del Signore Supremo, Sri
Krishna. La gentilezza di Krishna si rivela nel maha-mantra
Hare Krishna: Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare/ Hare
Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare. La ripetizione di
questa sacra vibrazione sonora apre il cuore ad una sempre
maggiore comprensione di se stessi e all’intimità
dell’amore per Dio, anche in chi non ha qualifiche. Questa
analogia degli uccelli come si applica al canto Hare
Krishna, una pratica così importante per la vita
spirituale? Il canto di gruppo viene detto sankirtana o
kirtana; il canto individuale è detto japa. Cantare in
gruppo (kirtana) è come volare in formazione a V; si prende
forza dagli altri. Si suona o si guardano gli altri che
suonano gli strumenti, a turno si ascolta e si canta, e si
segue il leader che varia il tempo e la melodia. Quando
invece si canta con il japa siamo soli con Krishna e con la
nostra mente, che è sempre pronta a disturbarci.
La più recente incarnazione di Krishna, Sri Caitanya
Mahaprabhu, sebbene fosse un grandissimo erudito, ha
lasciato solo otto versi scritti. Questi versi di suprema
importanza, conosciuti come Siksastaka, mostrano che i nomi
di Krishna rafforzano ed arricchiscono la vita spirituale.
Eccoli tradotti in forma poetica, insieme a riflessioni
sulla loro importanza per la fondamentale pratica spirituale
individuale del japa.
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Xu Yhing 28 giugno 2009 0:00
O Kesava! O Signore dell'universo! O Signore Hari, che
hai assunto l'aspetto di un essere metà uomo e metà
leone! Tutte le glorie a Te! Proprio come si può
schiacciare facilmente tra le unghie una vespa, così il
corpo del demone Hiranyakasipu simile a una vespa, è stato
squarciato dalle poderose unghie appuntite delle Tue
meravigliose mani di loto.
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Vitolino 28 giugno 2009 0:00
Hare Krishna
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Ziripuaphani 27 giugno 2009 0:00
Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Gosvami Maharaja
Maestro spirituale di Sua divina grazia A. C. Bhaktivedanta
Swami Prabhupada, Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura
nacque a Jagannatha Puri, luogo santo di pellegrinaggio, da
Srila Bhaktivinoda Thakura, un grande acarya vaisnava
appartenente alla linea di successione che viene da Sri
Caitanya Mahaprabhu. Anche se impiegato come magistrato
statale, Srila Bhaktivinoda lavorò intensamente per
stabilire gli insegnamenti di Sri Chaitanya in India. Lui
previde un movimento spirituale mondiale e pregò per avere
un figlio che lo aiutasse a realizzare il suo sogno.
Il 6 febbraio 1874, nella città sacra di
pellegrinaggio di Jagannath Puri, dove Srila Bhaktivinoda
Thakura era al servizio come soprintendente del famoso
tempio di Jagannatha, apparve in questo mondo Srila
Bhaktisiddhanta al quale fu dato il nome di Bimala Prasada.
All'età di sette anni Bimala Prasada aveva memorizzato
più di settecento versi sanscriti della Bhagavad-gita e
poteva fare commenti illuminanti su di loro. Srila
Bhaktivinoda Thakura, l'autore di molti importanti libri
e scritture sulla Gaudiya, la filosofia vaisnava, addestrò
suo figlio nella stampa e correzione. A soli venticinque
anni, Bimala Prasada aveva già acquisito una grande
reputazione come studioso di Sanscrito, matematica, e
astronomia. Per il suo trattato astronomico,
Surya-siddhanta, ebbe il titolo di Siddhanta Sarasvati in
riconoscimento della sua cultura immensa. Nel 1905, seguendo
il consiglio di suo padre, Siddhanta Sarasvati accettò
l’iniziazione spirituale da Srila Gaurakishora Dasa
Babaji. Anche se Srila Gaurakishora Dasa Babaji era
analfabeta, era rinomato in tutto il continente come un
grande santo e acarya vaisnava. Anche se
Siddhanta Sarasvati era un grande studioso, esibì una
grande umiltà e dedizione nei confronti di Srila
Gaurakishora. Soddisfatto per l’umiltà e la dedizione del
suo discepolo estremamente colto, Srila Gaurakishora diede a
Siddhanta Sarasvati le sue piene benedizioni e gli richiese
di "predicare la Verità Assoluta, tenendo da parte
ogni altro lavoro." Alla scomparsa di Srila
Bhaktivinoda Thakura nel 1914, Siddhanta Sarasvati divenne
redattore del diario di suo padre, Sajjana-tosani e fondò
il Bhagawat Press per la pubblicazione della Gaudiya, la
letteratura vaisnava. Nel 1918 Siddhanta Sarasvati accettò
l'ordine di rinuncia (il sannyasa) e prese il titolo di
Srila Bhaktisiddhanta Sarasvati Goswami Maharaja. Allo scopo
di propagare il vaisnavismo Gaudiya in tutta l'India,
organizzò la Gaudiya Math, con sessantaquattro rami in
tutto il paese. La sede centrale della sua
missione, la Chaitanya Gaudiya Math, era localizzata a
Sridhama Mayapura, la patria di Sri Chaitanya Mahaprabhu.
Srila Bhaktisiddhanta corresse tradizioni antiche per
adattarle alle condizioni tecnologiche e sociali del
ventesimo secolo. Egli ritenne la carta stampata il mezzo
più efficace di comunicazione in tutto il mondo e fu
l'autore di molte importanti traduzioni, commenti, e
composizioni filosofiche. Lui fu il primo insegnante
spirituale di questa linea che permise ai suoi predicatori
rinunciati (i sannyasi) di portare vestiti occidentali e
viaggiare non a piedi, ma utilizzando trasporti moderni.
Negli anni a venire Srila Bhaktisiddhanta espanse ed
aumentò il suo lavoro di missionario e riuscì nel
ristabilire il vaisnavismo Gaudiya come la forza principale
nella vita spirituale indiana. Il 1 gennaio 1937, Srila
Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura lasciò questo mondo.
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Wasi 26 giugno 2009 0:00
Sri Dasavatara-stotra O Kesava! O Signore
dell'universo! O Signore Hari che hai assunto la forma
di pesce! Tutte le glorie a Te! Volendo dare protezione ai
Veda, rimasti immersi nel mare turbolento della
devastazione, hai preso la forma di un gigantesco pesce
svolgendo così le funzioni di una nave.
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Potumona 26 giugno 2009 0:00
Sri Vamana Risolve il Conflitto Universale Sri
Visnu si presenta sotto altra forma per restituire il
controllo dell’universo agli esseri celesti, Suoi devoti.
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Xu Yhing 26 giugno 2009 0:00
Quando il cibo diventa prasadam? Seguendo regole
appropriate chiunque può trasformare il cibo
comune in una sostanza spirituale. Il fenomeno di
qualcosa che si trasforma da materiale a spirituale è un
fatto straordinario, ma è qualcosa con cui noi, come
devoti, siamo a contatto quotidianamente, spesso diverse
volte al giorno. Questo accade quando la bhoga (cibo non
offerto) diventa prasadam o cibo santificato dal
Signore. Quando ero un neo-devoto a Montreal,
organizzammo un programma che doveva svolgersi al campus
della McGill University. Il volantino che pubblicizzava il
programma diceva: “Davanti ai tuoi occhi vedrai la materia
trasformata in spirito.” Certamente questo titolo suscitò
l’interesse di molte persone. Durante il programma,
il presidente del tempio nella presentazione trattò questo
punto. Alla fine disse: “Va bene, ora sta per accadere.
Vedrete lo spirito manifestarsi davanti ai vostri
occhi.” Gli studenti sedevano sul bordo dei
loro sedili. Fu portato il piatto con il cibo non offerto,
che era quello della festa di quel giorno, e fu messo
davanti al quadro del Pañca-tattva (Sri Caitanya e i Suoi
quattro principali associati). Poi un devoto s’inchinò,
suonò la campanella e a bassa voce pronunziò dei mantra.
Infine si alzò e dichiarò: “Ecco, abbiamo portato del
cibo comune ed ora è stato trasformato in sostanza
spirituale.” E prima che qualcuno potesse metterlo in
dubbio, disse: “La prova di questo l’avrete mangiandolo
e constatando l’effetto che ha.” Come Krishna
dice, pratyaksavagamam dharmyam: “Il principio della
religione si comprende con l’esperienza diretta.”
(Bhagavad-gita 9.2), in questo caso, la prova è certamente
nel gusto. Coloro che hanno assaggiato il prasadam di
Krishna sanno che esso ha un potere straordinario e che
mangiarlo costituisce un’esperienza molto diversa dal
mangiare cibo che non è stato offerto al Signore con amore
e devozione. Allora quando la bhoga diventa prasadam?
Certamente quando viene offerta, ma perché un’offerta
abbia successo, deve essere accettata. Quando Krishna
accetta quello che Gli offriamo, diventa prasadam. La parola
prasadam significa “misericordia” e nella Bhagavad-gita
Sri Krishna dice, prasade sarva-duhkhanam hanir
asyopajayate: “La misericordia del Signore distrugge tutte
le forme di sofferenza.” Perciò, quando
mangiamo, (o, come noi diciamo, onoriamo) il prasadam ci
sentiamo entusiasti. Il prasadam distrugge le conseguenze
delle nostre attività peccaminose passate. Rupa Gosvami
dice che esso ci fa sentire “molto fortunati”. E che
cosa in realtà viene accettato? E’ il cibo stesso?
Krishna nella Bhagavad-gita (9.26) afferma:
patram puspam phalam toyam yo me bhaktya
prayacchati tad aham bhakty-upahritam asnami
prayatatmanah “Se qualcuno Mi offre con amore e
devozione una foglia, un fiore, un frutto o dell’acqua,
accetterò la sua offerta.” Egli dice: “Io accetto la
bhakti.” Si può offrire una foglia, un fiore, un frutto,
del latte o preparazioni cotte nel ghee, ma è la devozione
che porta queste preparazioni a Krishna e che Lo rende
incline ad accettarle. La Sri Isopanisad (Mantra 5) dice,
tad dure tad v antike: sebbene Krishna sia molto lontano, è
anche molto vicino. Per cui ovunque noi siamo quando
offriamo qualcosa a Krishna, la devozione Lo porta
direttamente da noi. Non tutte le offerte però sono
dello stesso livello; esse dipendono dalla natura del
devoto. Anche se ci sono molti modi di classificare i
devoti, in questo caso possiamo considerarne tre tipi:
interessati, puri, pieni d’amore. Ne consegue che le
offerte saranno comprese in una di queste tre categorie.
L’OFFERTA INTERESSATA Un’offerta
è interessata quando qualcosa viene offerto a Krishna con
l’idea che se ne riceverà un beneficio materiale come la
liberazione dalle sofferenze materiali: “Se io do questo a
Krishna, ne riceverò prosperità, salute e i miei figli
faranno buoni matrimoni,” e così via. Oppure qualcuno
potrebbe desiderare di liberarsi dalle sofferenze o di
guarire da una malattia — questa è un’offerta
interessata. Ma anche un’offerta interessata può essere
fatta in due modi. Se è fatta attraverso la guru-parampara,
la successione di guru, Krishna l’accetterà, perché i
puri devoti sono sempre molto misericordiosi e per elevare
la coscienza dei devoti che hanno motivazioni interessate
essi supplicano Krishna di accettare le loro misere offerte.
In altre parole, è la purezza dei devoti della
guru-parampara che trasforma le offerte impure in offerte
pure. Se però una persona che ha delle
motivazioni interessate fa un’offerta a modo suo, non
attraverso la guru-parampara, l’offerta non diventa
prasadam, ma rimane bhoga. Tuttavia anche questo tipo di
offerta ha valore perché la persona pensa: “Almeno offro
questo a Krishna.” Naturalmente, in qualunque modo le
persone pensino a Krishna sarà per loro benefico. Akama,
sarva-kama, moksa-kama: senza desideri materiali, pieno di
desideri materiali o con il desiderio della liberazione. In
ciascun caso gradualmente si purificano, ma a meno che
Krishna non voglia esercitare una misericordia
straordinaria, Egli non accetta cibo offerto con motivazioni
di altra natura. Yasyaprasadan na gatiH kuto ’pi: “Senza
la grazia di un maestro spirituale non si può fare nessun
avanzamento spirituale.” (Gurvastaka 8) Krishna non
accetterà niente che non sia offerto attraverso la
guru-parampara. Spesso, a proposito di membri
della congregazione o neo-devoti che non sono iniziati ma
fanno le offerte, viene posta una domanda interessante: le
offerte sono prasadam o bhoga? In questo caso dobbiamo
considerare il potere della successione disciplica che non
è ristretta ai devoti iniziati. Se qualcuno viene istruito
ad offrire il cibo da un Vaisnava autorizzato, Krishna
accetterà questa offerta. Krishna non rifiuterà il suo
approccio sincero perché in effetti questa persona accetta
la guru-parampara anche se non ha ancora seguito il processo
diksa. L’OFFERTA PURA Il
secondo tipo di offerta è l’offerta pura, cioè quando un
devoto offre qualcosa a Krishna per farGli cosa gradita. Un
devoto non ha motivazioni egoistiche; vuole solo compiacere
Krishna. Perciò egli a casa offre il cibo a un quadro, a
una divinità o ad una salagrama-sila e nel tempio i pujari
dal cuore puro cercano di compiacere Gaura-Nitai e
Radha-Krishna. Anche in questa categoria ci sono, però, due
tipi di offerta: regolata e spontanea. L’offerta regolata
è fatta per dovere seguendo tutte le regole e i
principi. Anche l’altra viene fatta dal devoto
seguendo le regole, ma per uno spontaneo attaccamento al
Signore. Questo devoto prova un certo grado di affetto e il
suo pensiero dominante non è quello dell’obbligo: “Lo
farò perché queste sono le istruzioni del guru e degli
sastra.” Tuttavia facendo queste offerte
secondo le indicazioni del guru e degli sastra, nei devoti
si risveglia la naturale attrazione per Krishna e per
l’esecuzione di spontanei atti di devozione dettati
dall’affetto. Questo affetto è un po’ diverso
dall’amore maturo, l’amore spirituale, ma è sincero.
Tuttavia, entrambi questi tipi di offerta pura devono essere
fatti attraverso la guru-parampara. A questo livello anche
il prasadam è diverso. Quando si offre qualcosa a Krishna
per dovere, Egli l’accetta per dovere. Egli si sente
legato dal dovere. Nella Bhagavad-gita (3.24) Krishna dice:
“Se Mi astenessi dal compiere i Miei doveri prescritti,
tutti questi mondi cadrebbero in rovina.” Krishna agisce
per dovere. Krishna però considera che, fra tutti i devoti
che si arrendono a Lui, colui che Gli offre qualcosa con
affetto Gli è più caro di tutti. Perciò Krishna ricambia
la gentilezza e corrisponde con grande affetto verso quel
devoto. Sorge naturale la domanda: ci sono
differenti tipi di prasadam? E la risposta è sì. Krishna
dice, ye yatha mam prapadyante tams tathaiva bhajami aham:
“Nella misura in cui si abbandonano a Me, Io li
ricompenso.” (Bg. 4.11) Secondo la quantità e la qualità
della devozione con cui si fa l’offerta a Krishna, in
proporzione questa offerta diventa prasadam. E’
interessante notare che la capacità di un devoto a gustare
il prasadam sarà in proporzione alla sua capacità di
offrire il prasadam. In altre parole, i devoti gusteranno la
natura spirituale del prasadam nella stessa misura in cui
manifesteranno devozione nell’offerta.
L’OFFERTA FATTA CON AMORE PURO Il terzo tipo
d’offerta è quella fatta con amore puro. Quando un devoto
raggiunge il livello dell’amore devozionale, Krishna
accetta direttamente l’offerta dalle sue mani e
contraccambia la sua gentilezza. L’amore devozionale è
quello espresso dagli eterni associati di Krishna nel mondo
spirituale, dove Egli è direttamente impegnato a gustare
tutti i tipi d’amore che i Suoi devoti Gli offrono.
Allora cosa c’è di diverso e come fa il prasadam a
diventare spirituale? Il cibo appare uguale prima e dopo
l’offerta, ma ciò che accade in realtà è che Krishna
risponde alla devozione del devoto manifestando la Sua
svarupa-sakti o la Sua daivi-prakriti, la Sua potenza
spirituale interna nel grado in cui il devoto Glielo
permette. Con la parola “permette” intendo il grado che
il devoto vuole o il grado con cui manifesta la qualità e
la quantità di servizio devozionale. Quando
Caitanya Mahaprabhu era a Jagannatha Puri e onorò il
prasadam di Jagannatha fu sopraffatto dal gusto estatico del
prasadam. Egli glorificò il prasadam e potè gustare
direttamente la saliva delle labbra di loto di Krishna mista
al cibo. Egli continuò a glorificare l’effetto del tocco
delle labbra di Krishna. Questo è ciò che accade
quando qualcuno che prova amore devozionale assaggia il cibo
offerto a Krishna. E, in questo caso, senza dubbio, la
capacità di Caitanya Mahaprabhu di gustare la potenza del
prasadam supera quella dei brahmana che lo avevano offerto
al Signore Jagannatha. Tuttavia quel prasadam è potenza
interna di Krishna, non differente da Krishna e dinamico. Un
devoto che ha amore per Krishna può gustare la potenza
spirituale presente nel prasadam più di quanto essa si sia
manifestata al pujari che aveva fatto l’offerta.
Possiamo considerare anche gli esempi di Prahlada Maharaja
e di Mirabai: ad ambedue era stato dato da bere del veleno,
ma, grazie al loro grande amore devozionale, il veleno si
trasformò in nettare e non ebbe alcun effetto. Perché
questo? Perché sia il veleno sia i cibi nutrienti fanno
parte della relatività di questo mondo materiale. Ma quando
con amore offriamo qualcosa a Krishna, la potenza
sac-cit-ananda di Krishna si manifesta in quel cibo. In
questo modo il veleno diventa prasadam come accade per un
pakora. L’OFFERTA DELLE NOSTRE VITE
Comunque non dovremmo pensare che “l’offerta”
sia solo la bhoga o il cibo che offriamo a Krishna. I devoti
fanno un’offerta di tutta la loro vita: yat
karosi yad asnasi yaj juhosi dadasi yat yat
tapasyasi kaunteya tat kurusva mad-arpanam
Krishna dice: “Qualunque cosa tu faccia, qualunque cosa tu
mangi sacrifichi od offra in carità, come pure le
austerità che compi — offri tutto a Me, o figlio di
Kunti.” (Bg. 9.27) In definitiva ogni respiro di un devoto
è un’offerta: quando i devoti dormono per mantenere il
loro corpo al servizio di Krishna, quel sonno diventa
un’offerta al Signore; quando mangiano per mantenere i
loro corpi e si mantengono in salute per servire Krishna,
questa è un’offerta al Signore; quando ricevono qualcosa
— cibo, sapone, denaro — tutte queste cose vengono
offerte a Krishna. A New Vraja Dhama (la fattoria della
comunità dei devoti in Ungheria) qualsiasi cosa i devoti
acquistino o ricevano viene innanzitutto offerta a
Radha-Syamasundara, le divinità che presiedono il tempio,
su un vassoio posto davanti all’altare. In questo modo la
pratica di offrire tutto a Krishna diventa naturale.
Noi dovremmo imparare ad offrire tutto. Ci alziamo
presto al mattino e la prima cosa che facciamo è offrire
preghiere al Signore. Cantiamo Hare Krishna non come un
divertimento, ma come un’offerta per glorificare Krishna.
E quando una persona vive in questo modo, in un certo senso
l’atto di fare l’offerta diventa non necessario (sebbene
il devoto lo faccia per dare l’esempio), perché questi
devoti sono sempre assorti nel fare tutto per Krishna.
Perciò, yo me bhaktya prayacchati – la bhakti è già lì
e Krishna è molto desideroso di riceverla. Infatti Krishna
segue i devoti per accettare il loro amore devozionale in
ogni momento del giorno, in ogni movimento dei loro corpi e
in ogni pensiero che essi manifestano in relazione al loro
servizio devozionale a Lui. In definitiva è
quello a cui aspiriamo e questo è quello che fanno i devoti
amorevoli: essi vivono per Krishna per cui tutto quello che
fanno diventa cosciente di Krishna — diventa prasadam. I
pastorelli si sedevano semplicemente vicino a Krishna e
mangiavano il cibo che si erano portati — non facevano
nessuna offerta a Krishna. Quando offrivano qualcosa a
Krishna, lo prendevano dai loro sacchetti e lo mettevano
direttamente in bocca a Krishna. O qualche volta mordevano
addirittura metà di una pallina dolce e dicevano:
“Krishna, senti che gusto meraviglioso ha questa pallina
dolce!” mettendo il resto nella bocca di Krishna. Yo me
bhaktya prayacchati: non era altro che il loro amore. Gli
atti formali e tecnici dell’offerta non sono più
importanti perché quello che in realtà Krishna vuole è
l’amore e la devozione. Questo è tutto ciò che Lo
interessa veramente. E se Madre Yasoda Gli offre il latte
del suo seno, le gopi Gli offrono i loro corpi, le mucche
Gli offrono il latte, i pastorelli lottano e saltano sulle
spalle di Krishna — tutto diventa prasadam perché tutto
è un offerta d’amore. Il nostro compito in
coscienza di Krishna perciò è vivere in questo mondo di
prasadam e quindi diventare prasadam noi stessi. Questa è
la conclusione di Krishna nella Bhagavad-gita (4.24) quando
dice: brahmarpanam brahma havir brahmagnau brahmana hutam
...: “La persona pienamente assorta nella coscienza di
Krishna è sicura di raggiungere il regno spirituale grazie
al suo pieno contributo alle attività spirituali.” Se
pensiamo di offrire tutto a Krishna, se i nostri atti fisici
sono un’offerta a Krishna, se le nostre parole sono
un’offerta a Krishna, alla fine anche noi diventiamo
un’offerta a Krishna. Allora diventiamo prasadam. E
Krishna è sempre desideroso di gustare la dolcezza
meravigliosa delle nostre offerte piene d’amore.
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Wasi 24 giugno 2009 0:00
Sambandha-adhideva pranama jayatam suratau pangor mama
manda-mater gati mat-sarvasva-padambhojau
radha-madana-mohanau jayatam: tutte
le glorie a; su-ratau: il più misericordioso, o impegnato
nei divertimenti coniugali; pangoh: di uno che è incapace;
mama: di me; manda-mateh: corrotto; gati: rifugio; mat: mio;
sarva-sva: tutto; pada-ambhojau: i quali piedi di loto;
radha-madana mohanau: Radharani e Madana-mohana.
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Shanazi 24 giugno 2009 0:00
Hare Krishna il Dio onnipresente nell'anima degli
uomini.
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Shatadasi 18 giugno 2009 0:00
om ajnana-timirandhasya jnananjana-salakaya caksur
unmilitam yena tasmai sri-gurave namah
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Hanamani Khalid Habuapadi 17 giugno 2009 0:00
Il sufismo è la corrente mistica dell’Islâm. Il sufismo
autentico è ancor oggi una realtà spirituale operante,
forte e vivente, che continua la sua funzione tradizionale
all’interno delle confraternite dei Sufi, sparse in tutto
il mondo. In questa rubrica si approfondiranno alcuni
aspetti, alcuni concetti per una introduzione alla
conoscenza del sufismo, tenendo presente che esso, come
molte altre dottrine, è una realtà esperienziale che va
vissuta.
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Hanamani Khalid Habuapadi 17 giugno 2009 0:00
La divinità di Krishna adorata nel tempio di Los Angeles,
dove io vivo, viene chiamata Dvarakadhisa: “Il Signore di
Dvaraka”. Dvaraka è l’isola incontaminata che Sri
Krishna governa nella sua vita da adulto. * In generale i
devoti di Krishna Lo pensano soprattutto come Dio, la
Persona Suprema, che compie meravigliosi divertimenti
spirituali nel villaggio dei pastori di Vrindavana e come
Colui che enuncia la Bhagavad-gita. In questa ambientazione
rurale Egli gioca e gode la vita in mezzo a molti parenti e
amici. I Gaudiya Vaisnava o seguaci di Sri Caitanya
Mahaprabhu sanno che Krishna nella Suo ruolo di pastorello
scambia i sentimenti più intimi con i Suoi devoti.
Tuttavia, Krishna è sempre Krishna e i devoti Lo amano
anche quando si mostra in altri modi. Per esempio, è
affascinante anche nel Suo ruolo di Dvarakadhisa. Krishna
non è un re ordinario. Re o presidenti rappresentano ciò
che c’è di grande e potente in questo mondo. Eppure
perfino la più grande e imponente personalità è soltanto
una piccola manifestazione dell’opulenza di Dio, la
Persona Suprema. Il Suo corpo puro è costituito di
eternità, conoscenza e felicità. Sebbene Krishna nel suo
ruolo di Dvarakadhisa si diverta in molti combattimenti
leali, non ha nessuno da vincere e niente da ottenere,
poiché è sempre completo in Se Stesso.
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Wasi 17 giugno 2009 0:00
Considerazioni sul pensiero scientifico Natura non
facit saltus, ma la scienza sì Lo sviluppo della
scienza (e della matematica, che si svolge in parallelo a
quello) è, secondo lo schema tradizionale generalmente
accettato fino ad ora, caratterizzato dai seguenti momenti:
[1] 1. le sue fasi iniziali avvengono nella Grecia
classica, in corrispondenza dell'affermarsi della
pòlis; questo processo, pur ammettendo che in qualche
misura - peraltro difficilmente accertabile - sia stato
indotto o influenzato da contatti con le civiltà
dell'Oriente, sarebbe avvenuto in modo autonomo seguendo
una propria linea di sviluppo; 2. Raggiunto un massimo
di sviluppo nel tardo ellenismo, inizia in Occidente un
regresso che perdura sino al Rinascimento, durante il quale
apporti dal mondo arabo e da Costantinopoli, fondendosi con
le tradizioni platonica e aristotelica, consentono di porre
le basi per un nuovo rilancio in grande stile. Durante
questa fase si pongono i fondamenti dell'algebra e della
prospettiva, e si costituiscono o si affermano le sedi nelle
quali si produrrà il dibattito scientifico, cioè le
Università; 3. Nel corso del XVII secolo, avviene in
Occidente qualcosa di mai visto prima e che non ha luogo in
altre culture, e cioè la nascita della scienza
galileiana-newtoniana, cioè la sintesi della conoscenza
logico-matematica e fisico-fenomenica. 4. Il processo
iniziato nel '600 [in realtà, un po' prima; ma la
consistenza del fenomeno diviene evidente intorno alla metà
del secolo] prosegue, portando alla formulazione di
complesse teorie formalizzate il cui successo pone un
problema: in che cosa il pensiero scientifico si distingue
da ciò che scienza non è? Ma questa formulazione non è
sempre espressa chiaramente, perchè il "pensiero
scientifico" forse non "nasce" in un solo
momento preciso; o, meglio, si potrebbe affermare che
"nascono" le singole fasi in cui esso si articola
storicamente, come p.es. la fisica classica, nel senso che,
ad un certo punto, si manifesta una discontinuità
irreversibile nel processo di elaborazione delle idee:
qualcuno dice qualcosa che non è stato ancora detto o
ripropone con forza qualcosa di già detto, ma dimenticato,
riportandolo all'attenzione del mondo - salvo che...non
sempre ci si accorge subito che è effettivamente sorto
qualcosa di nuovo. [1] questa ricostruzione
estremamente sommaria non è universalmente condivisa;
vedasi ad es. le critiche di George Gheverghese Joseph, in
The Crest of the Peacock: The Non-European Roots of
Mathematics ; trad. it. "C'era una volta un numero
- la vera storia della matematica" , ed. il
Saggiatore. Le rivoluzioni scientifiche [e non
solo] In realtà, la discontinuità - insomma, la
novità - viene notata, dato che non vi è dubbio che i
contemporanei - almeno, quelli che avevano occhi per vedere
- capirono la novità insita p.es. nel contenuto della
rivoluzione copernicana, ed è fuori discussione che
l'impatto della meccanica quantistica nella comunità
dei fisici del primo '900 può essere considerato un
vero trauma, forse ancora più violento di quello
copernicano. Dunque, vi è consapevolezza del
"nuovo" quando questo appare; almeno così
sembrerebbe da quanto appena detto, ma a ben guardare, le
cose non stanno esattamente così; sarebbe più corretto
ipotizzare che viene chiaramente percepito l'insorgere
di una novità, ma la reale portata di tale novità emerge
lentamente e attraverso un processo spesso confuso,
tortuoso, intricato di equivoci: e ciò perchè la novità
implica, attraverso le sue conseguenze che inizialmente sono
appena intraviste, la ricostruzione della forma mentis o, se
si preferisce, l'affermazione di un nuovo modo di
collegare i termini del discorso scientifico. A questo
proposito, mi si permetta una digressione. Non può sfuggire
- e difatti non è sfuggito - che un simile processo, una
volta giunto ad un certo grado di sviluppo, ha molto in
comune con le rivoluzioni politiche. La "novità"
- cioè, il "non ancora visto" era, a giudicare
dalle stesse interpretazioni dei contemporanei, ben presente
nel 1789; ma in che cosa consistesse questa novità,
possiamo, con non poca indeterminazione, stabilirlo solo
dopo, molto dopo l'insorgere della discontinuità.
Non solo, ma la "discontinuità" nel campo
storico, insomma la rivoluzione mantiene molto di ciò che
era prima: al punto che, completatosi il processo, ci si
può chiedere se veramente c'è stata negazione di ciò
che era, o piuttosto riaffermazione del momento precedente
attraverso il confronto con la sua negazione. Non si creda
che la dialettica di Hegel nasca da chissà quali
elucubrazioni solipsistiche: il tecnicismo attraverso cui il
pensiero viene esposto, la lontananza dall'epoca nel
quale il pensiero è stato formulato, la complessità
dell'informazione e dell'esperienza che stanno alla
base della formulazione di un sistema ne rendono pressochè
impossibile la completa ricostruzione e comprensione:
bisogna limitarsi a interpretare il pensiero passato. Tale
dialettica è, molto verosimilmente, intimamente connessa
alla riflessione sul ritorno al momento precedente: un
ritorno che però incorpora il nuovo - l'antitesi al
vecchio ordine di cose e idee - e che quindi è sintesi,
ricon ferma-superamento al contempo. Questo schema,
però, non è perfettamente applicabile allo svolgersi del
pensiero scientifico. Il "nuovo" infatti qui si
manifesta anzitutto in quanto al contenuto, mentre è la
forma che viene in realtà messa in discussione; solo che
ciò avviene - se avviene - in un secondo momento. Nella
rivoluzione politica è la forma [la costituzione politica e
il governo] che viene attaccata per prima; il contenuto
[Marx direbbe: la "struttura"] mantiene un certo
grado di autonomia, e la sua inerzia - cioè, il fatto che i
suoi tempi di evoluzione sono lenti rispetto a quelli della
forma] fa sì che la forma debba, in una certa misura,
recedere. La forma non può oltrepassare troppo il
contenuto, ma deve adeguarsi come un abito ad un corpo.
Questo porta ad una forma del processo di tipo hegeliano:
utile, nella storia dei fenomeni politici. Ma il
processo di formazione del pensiero scientifico rivela una
sottile divergenza rispetto a questo schema storico: nelle
crisi, il primo momento è l'emergere di una nuova tesi,
a cui si giunge ragionando secondo uno schema preesistente
che guida il ricercatore il quale, rimanendo coerente al
paradigma, propone una novità o come alternativa a /
superamento di una posizione già consolidata perché si
accorge che negandola non emergono contraddizioni, e quindi
la novità non è impossibile, o perché le conclusioni
imposte dalla coerenza al paradigma sono contraddittorie con
i risultati delle osservazioni o portano a contraddizioni
interne al paradigma. Un esempio del primo genere sono
le Geometrie non-Euclidee. Lo schema formale sottostante è
sempre il ragionamento ipotetico-deduttivo secondo cui si
ordina la stessa Geometria Euclidea; la novità - cioè la
formulazione di geometrie che negano o non contengono il V
postulato [1] - non porta a contraddizioni, dunque le nuove
geometrie sono possibili.
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Quzzaharari 16 giugno 2009 0:00
Molti anni fa, ai tempi in cui un debitore insolvente poteva
essere gettato in prigione, un mercante di Londra si trovò,
per sua sfortuna, ad avere un grosso debito con un usuraio.
L'usuraio, che era vecchio e brutto, si invaghì della
bella e giovanissima figlia del mercante, e propose un
affare. Disse che avrebbe condonato il debito se avesse
avuto in cambio la ragazza. Il mercante e sua figlia
rimasero inorriditi della proposta. Perciò l'astuto
usuraio propose di lasciar decidere alla Provvidenza. Disse
che avrebbe messo in una borsa vuota due sassolini, uno
bianco e uno nero, che poi la fanciulla avrebbe dovuto
estrarne uno. Se fosse uscito il sassolino nero, sarebbe
diventata sua moglie e il debito di suo padre sarebbe stato
condonato. Se la fanciulla invece avesse estratto quello
bianco, sarebbe rimasta con suo padre e anche in tal caso il
debito sarebbe stato rimesso. Ma se si fosse rifiutata di
procedere all'estrazione, suo padre sarebbe stato
gettato in prigione e lei sarebbe morta di stenti. Il
mercante, benché con riluttanza, finì
coll'acconsentire. In quel momento si trovavano su un
vialetto di ghiaia del giardino del mercante e l'usuraio
si chinò a raccogliere i due sassolini. Mentre egli li
sceglieva, gli occhi della fanciulla, resi ancor più acuti
dal terrore, notarono che egli prendeva e metteva nella
borsa due sassolini neri. Poi l'usuraio invitò la
fanciulla a estrarre il sassolino che doveva decidere la sua
sorte e quella di suo padre. Immaginate ora di
trovarvi nel vialetto del giardino del mercante. Che cosa
fareste nei panni della sfortunata fanciulla? E, se doveste
consigliarla, che cosa le suggerireste? Quale tipo di
ragionamento seguireste? Se riteneste che un rigoroso
esame logico potesse risolvere il problema - ammesso che
esista davvero una soluzione - ricorrereste al pensiero
verticale. L'altro tipo di pensiero è infatti quello
laterale. Chi si servisse del pensiero verticale non
potrebbe però essere di grande aiuto a una ragazza che si
trovasse in simili frangenti. Il suo modo di analizzare la
situazione metterebbe in luce tre possibilità. La ragazza
potrebbe: 1. rifiutarsi di estrarre
il sassolino; 2. mostrare che la borsa contiene due
sassolini neri e smascherare l'usuraio imbroglione;
3. estrarre uno dei sassolini neri e
sacrificarsi per salvare il padre dalla prigione.
Nessuno di questi consigli, tuttavia, sarebbe veramente
utile in quanto, se la ragazza non estraesse il sassolino,
suo padre finirebbe in prigione, e se lo estraesse dovrebbe
sposare l'usuraio. L'aneddoto vuole mostrarci
la differenza esistente tra il pensiero verticale e quello
laterale. I verticalisti si preoccupano del fatto che la
ragazza debba estrarre un sassolino. I lateralisti si
occupano invece del sassolino bianco che manca. I primi
affrontano la situazione dal punto di vista più razionale e
quindi procedono alla sua risoluzione con circospetta
logicità. I secondi preferiscono esaminare tutti i
possibili punti di partenza invece di accettare il più
invitante e di impostare su di esso la loro indagine.
Ebbene: la ragazza dell'aneddoto introdusse la
mano nella borsa ed estrasse un sassolino, ma senza neppur
guardarlo se lo lasciò sfuggire di mano facendolo cadere
sugli altri sassolini del vialetto, fra i quali si
confuse. « Oh, che sbadata! » esclamò. « Ma non vi
preoccupate: se guardate nella borsa potrete immediatamente
dedurre, dal colore del sassolino rimasto, il colore
dell'altro. » Naturalmente, poiché quello rimasto
era nero, si dovette presumere che ella avesse estratto il
sassolino bianco, dato che l'usuraio non osò ammettere
la propria disonestà. In tal modo, servendosi del pensiero
laterale, la ragazza riuscì a risolvere assai
vantaggiosamente per sé una situazione che sembrava senza
scampo. La ragazza, in realtà, si salvò in un modo molto
più brillante di quanto non le sarebbe riuscito se
l'usuraio fosse stato onesto e avesse messo nella borsa
un sassolino bianco e uno nero, perché in tal caso avrebbe
avuto solo il cinquanta per cento delle probabilità in suo
favore. Il trucco che escogitò le offrì invece la
sicurezza di rimanere col padre e di ottenergli la
remissione del debito. […] Quando si affronta un
problema, è prassi comune delimitarlo entro una determinata
inquadratura e cercarne la soluzione all'interno di
essa. Si accetta come un dato dimostrato che una certa linea
rappresenti i confini del problema, ed è entro questi
confini che il pensiero verticale ricerca la soluzione.
Molto spesso però questi confini non esistono nella realtà
e la soluzione può trovarsi al di fuori di essi. Facciamo
l'esempio dell'aneddoto dell'uovo, attribuito
erroneamente a Cristoforo Colombo. Una volta che i suoi
amici lo schernivano dicendo che la scoperta
dell'America era stata in realtà un'impresa facile
perché, per raggiungerla, era bastato mettere la prua verso
ovest e veleggiare sempre in quella direzione, Colombo
chiese loro se erano in grado di far stare un nuovo dritto
su una delle due punte. Gli amici provarono ma il tentativo
fallì. Allora Colombo prese un uovo, ne schiacciò una
punta e su questa lo fece star ritto. Gli amici protestarono
dicendo che per essi valeva la condizione che l'uovo
dovesse restare intatto. Cioè essi ponevano dei limiti che
in realtà non esistevano. Allo stesso modo, avevano
ritenuto impossibile prendere la rotta ovest e proseguire
sempre in quella direzione. La grande impresa marinara era
parsa facile a loro soltanto dopo che Colombo ebbe
dimostrata l'infondatezza delle loro prevenzioni.
È assai probabile che questo aneddoto riguardi, in realtà,
Filippo Brunelleschi che costruì la cupola del duomo di
Firenze, nonostante tutti avessero ritenuto che il suo
progetto era impossibile da realizzare. Più che
l'accuratezza storica dell'attribuzione
dell'aneddoto, ci serve il riferimento a Colombo perché
dà modo di mostrare una certa mentalità. Molto spesso
i verticalisti considerano una soluzione ottenuta col
pensiero laterale come una specie di trucco. Ciò prova,
paradossalmente, l'utilità del pensiero laterale.
Quanto più vibrata è l'accusa di mistificazione, tanto
più appare ovvio che essi sono legati a regole rigide e a
preclusioni che non hanno riscontro nella realtà. In tal
modo, preclusioni di vario tipo costituiscono altrettanti
sbarramenti che vietano l'accesso alle soluzioni
originali.
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