IVAN 30 ottobre 2008 0:00
APS!! Ancora in giro! Ciao, bello, come stai?
Approfitto per fare un piccolo copia & incolla...Niente de
che, ma mi pareva una buona cosa unire i 2 thread principali
del sito sul tema Foibe. Vediamo se porta una ventata
nuova.
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LE FOIBE E I CRIMINI CHE LE HANNO PRECEDUTE
Autore: Cronista Data: 13 Febbraio 2007
Predrag Matvejevic: le foibe e i crimini che le hanno
precedute Il noto scrittore di Mostar, docente
all'Università La Sapienza di Roma, interviene sulla
questione delle foibe e del giorno del ricordo con un
articolo pubblicato sul quotidiano fiumano Novi List.
La condanna di tutti i crimini e il rischio delle
strumentalizzazioni. Ringraziamo Matvejevic per averci
reso disponibile il suo testo Predrag Matvejevic Di
Predrag Matvejevic, Novi List, 12 febbraio 2005 (titolo
originale "Foibe" su fašisticki izum)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Luka Zanoni
Queste righe sono state scritte nel Giorno del ricordo
in Italia, 10 febbraio 2005 – quel dispiacere lo condivido
con molti cittadini di questo Paese. I crimini delle fosse e
quelli che in esse vi sono finiti, ciò che le ha precedute
e che le ha seguite, l'ho condannato da tempo - mentre
vivevo in Jugoslavia, quando di ciò in Italia si parlava
raramente e non abbastanza. Ho scritto pure sui crimini di
Goli Otok, di cui sono state vittime molti comunisti,
Jugoslavi e Italiani che erano più vicini a Stalin e
Togliatti che al "revisionismo" di Tito.
Ho parlato anche della sofferenza degli esiliati italiani
dall'Istria e dalla Dalmazia, dopo la Seconda Guerra
mondiale – l'ho fatto in Jugoslavia, dove
probabilmente era più difficile che in Italia. Non so di
preciso quanti scrittori italiani ho presentato, che allora
erano costretti ad andare via e quelli che sono rimasti:
Marisa Madieri, Anna Maria Mori, Nelida Dilani, Diego
Zandel, Claudio Ugussi, Giacomo Scotti, ecc. Non ricordo
quanti articoli ho pubblicato sulla stampa delle minoranza
italiana, poco conosciuta in Italia, così da poterla
appoggiare, desiderando che fosse meno sola e meno esposta
– e anche loro mi hanno appoggiato quando decisi di
andarmene. Le fosse, o le foibe come le chiamano
gli Italiani, sono un crimine grave, e coloro che lo hanno
commesso si meritano la più dura condanna. Ma bisogna dire
sin da ora che a quel crimine ne sono preceduti degli altri,
forse non minori. Se di ciò si tace, esiste il pericolo che
si strumentalizzino e il crimine e la condanna e che vengano
manipolati l'uno o l'altro. Ovviamente, nessun
crimine può essere ridotto o giustificato con un altro. La
terribile verità sulle foibe, su cui il poeta croato Ivan
Goran Kovacic ha scritto uno dei poemi più commoventi del
movimento antifascista europeo, ha la sua contestualità
storica, che non dobbiamo trascurare se davvero desideriamo
parlare della verità e se cerchiamo che quella verità
confermi e nobiliti i nostri dispiaceri. Perché le
falsificazioni e le omissioni umiliano e offendono.
La storia ingloriosa iniziò molto prima, non lontano
dai luoghi in cui furono commessi i crimini. Prenderò
qualcosa dai documenti che abbiamo a disposizione: il 20
settembre 1920 Mussolini tiene un discorso a Pola (non
scelse a caso quella città). Annuncia: "Per
la creazione del nostro sogno mediterraneo, è necessario
che l'Adriatico (si intende tutto l'Adriatico,
ndr.), che è il nostro golfo, sia in mano nostra; di fronte
alla inferiorità della razza barbarica quale è quella
slava". "Di fronte ad una razza
inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la
politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I
confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso
e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000
slavi barbari a 50.000 italiani". - Benito Mussolini,
1920 Il razzismo così entra in scena, seguendo
la "pulizia etnica" e il "trasferimento degli
abitanti". Le statistiche che abbiamo a disposizione
fanno riferimento alla cifra approssimativa di 80.000 esuli
Croati e Sloveni durante gli anni venti e trenta. Non sono
riuscito a confermare quanti poveri siano stati portati
dalla Calabria, e non so da dove altro, per poterli
sostituire. Gli Slavi perdono il diritto, che avevano prima
in Austria, di potersi avvalere della propria lingua sulla
stampa e a scuola, il diritto al predicare in chiesa, e
persino l'iscrizione sulla tomba. Le città e i villaggi
cambiano nome. I cittadini e le famiglie pure. Lo Stato
italiano estesosi dopo il 1918 non tenne in considerazione
le minoranze e i loro diritti, cercò o di denazionalizzarli
totalmente o di cacciarli. Proprio in questo
contesto per la prima volta si sente la minaccia delle
foibe. Il ministro fascista dei lavori pubblici Giuseppe
Caboldi Gigli, che si attribuì l'appellativo vittorioso
di "Giulio Italico", scrive nel 1927: "La
musa istriana ha chiamato con il nome di foibe quel luogo
degno per la sepoltura di quelli che nella provincia
dell'Istria danneggiano le caratteristiche nazionali
(italiane) dell'Istria" ("Gerarchia", IX,
1927). Lo zelante ministro aggiungerà a ciò anche dei
versi di minacciose poesie, in dialetto: "A Pola xe
arena, Foiba xe a Pizin" ("A Pola c'è
l'arena, a Pazina le foibe"). Mutuo questo detto da
Giacomo Scotti, scrittore italiano di Rijeka. Le
"foibe" sono, quindi, una creazione fascista.
Dalla teoria si è passati velocemente alla prassi. Il
quotidiano triestino "Il Piccolo" (5.XI.2001)
riporta la testimonianza dell'ebreo Raffaello Camerini
che era ai lavori forzati in Istria, alla vigilia della
capitolazione dell'Italia, nel luglio 1943: la cosa
peggiore che gli successe fu prendere gli antifascisti
uccisi e buttarli nelle fosse istriane, per poi cospargere i
loro corpi con la calce viva. La storia avrebbe poi aggiunto
a ciò ulteriori dati. Uno dei peggiori criminali
dei Balcani fu di sicuro il duce ustascia Ante Pavelic.
Jasenovac fu un Auschwitz in piccolo, con la differenza che
in esso si facevano lavori perlopiù
"manualmente", ciò che i nazisti fecero
"industrialmente". E le fosse, ovviamente, furono
una parte di tale "strategia". Mi
chiedo se anche uno degli scolari italiani in uno dei suoi
sussidiari poteva leggere che quello stesso Pavelic con le
squadre dei suoi seguaci più criminali per anni godette
dell'ospitalità di Mussolini a Lipari, dove ricevette
aiuto e istruzioni dai già allenati "squadristi"
fascisti. Quelli che oggi parlano dei programmi
scolastici in Italia e sul luogo delle foibe, non dovrebbero
trascurare di includere anche questi dati. E anche altro
vale la pena di ricordare: il governo di Mussolini aveva
annesso la maggior parte della Slovenia insieme con Lubiana,
la Dalmazia, il Montenegro, una parte della Bosnia
Erzegovina, l'intera Bocca di Cattaro. A quel tempo, tra
il 1941 e il 1943, di nuovo, furono cacciati dall'Istria
circa 30.000 Slavi – Croati e Sloveni – e fu occupata la
regione. Le "camicie nere" fasciste portarono a
termine fucilazioni individuali e di massa. Fu falciata
un'intera gioventù. I dati che provengono da
fonti jugoslave fanno riferimento a circa 200.000 uccisi,
particolarmente sulle coste e sulle isole. In Dalmazia gli
occupanti italiani catturarono e fucilarono Rade Koncar, uno
dei capi del movimento, il più stretto collaboratore di
Tito. In determinate circostanze hanno pure aiutato il capo
dei cetnici serbi in Dalmazia, il pope Ðuijic, che
incendiò i villaggi croati e sgozzò gli abitanti,
vendicandosi con gli ustascia per i massacri che avevano
commesso contro i Serbi. Così da fuori prese
impulso pure la guerra civile interna. A ciò occorre
aggiungere l'intera catena dei campi di concentramento
italiani, i più piccoli e i più grandi, dall'isoletta
di Mamula nel profondo sud, davanti a Lopud nelle Elafiti,
fino a Pago e Rab nel golfo del Quarnaro. Erano spesso
stazioni di transito per la mortale risiera di San Sabba di
Trieste, e in alcuni casi anche per Auschwitz o Dachau. I
partigiani non furono protetti dalla Convenzione di Ginevra
(in nessun luogo al mondo) così che i prigionieri furono
subito fucilati come cani. Molti terminarono la guerra con
gravi ferite, corporali e morali. Tali erano quelli in grado
di commettere crimini come le foibe. Non c'è
nessun dato in nessun archivio, militare o civile, sulla
direttiva che sarebbe giunta dall'Alto comando
partigiano o da Tito: le unità di cui facevano parte molti
di quelli che avevano perso i familiari, i fratelli, gli
amici, commisero dei crimini "di propria mano".
Purtroppo, il fascismo ha lasciato dietro di sé talmente
tanto male che le vendette furono drastiche non solo nei
Balcani. Ricordiamoci del Friuli, nella parte confinante con
l'Italia, dove non c'erano scontri tra nazionalità:
i dati parlano di diecimila uccisi senza tribunale, alla
fine della guerra. In Francia ce ne furono oltre 50.000. In
Grecia non so quanti. In Istria e a Kras dalle
foibe sono stati esumati fino ad ora 570 corpi (lo storico
triestino Galliano Fogar ne riporta persino un numero
minore, notando che nelle fosse furono gettati anche alcuni
soldati uccisi sui campi di battaglia, non solo Italiani).
Oggi possiamo sentire la propaganda che su svariati media
italiani fa riferimento a "decine di migliaia di
infoibati". Secondo lo storico italiano Diego de Castro
nella regione furono uccisi circa 6.000 Italiani. Non serve
aumentare o licitare quel tragico numero, come in questo
momento sembrano fare i giornali italiani, con 30.000 o
50.000 uccisi. Bisogna rispettare le vittime, non gettare
sulle loro ossa altri morti, come hanno fatto gli
"infoibatori". Per ciò che riguarda
invece i luoghi che tutti questi dati occupano
nell'immaginario, non mi sembra che sia benvenuta la
propaganda che come tale è diffusa dal film "Il cuore
nel pozzo", che in questi giorni è stato visto in
televisione da circa 10 milioni di Italiani, pubblicizzato
in un modo incredibilmente aggressivo. Nessuna testimonianza
storica parla di una madre che i partigiani portano via dal
figlio e poi la buttano nelle foibe! Questa è
un'invenzione tendenziosa dello sceneggiatore. Il cinema
italiano ha una eccellente tradizione nel neorealismo, una
delle più significative di tutta la moderna cinematografia
- non gli servono dei modelli simili al "realismo
sociale", dei film sovietici girati negli anni sessanta
del secolo scorso. E nei preparativi, che in questi giorni
sono stati organizzati, o nelle trasmissioni tv più
guardate, sarebbe stato meglio se ci fosse stato qualche
ministro che avesse, rispetto al fascismo, un diverso
passato piuttosto che quelli che abbiamo visto in scena.
Ciò sarebbe servito da modello e autenticità alle
testimonianze. La Jugoslavia non esiste più.
Croati, serbi, sloveni e gli altri nazionalisti si
compiacciono quando la destra italiana gli offre nuovi
argomenti per accusare lo Stato che essi stessi hanno
lacerato. (Ricordiamoci che il film è stato girato in
Montenegro, nella Bocca di Cattaro, con un attore serbo che
interpreta il ruolo del partigiano sloveno…) Così di
nuovo si feriscono i popoli le cui cicatrici ancora non sono
state medicate. È questo il modo migliore – in
particolare se se allo stesso tempo si nasconde tanto quanto
non corrisponde a verità? Perché, non c'è una qualche
via migliore? Il dispiacere che condividiamo può essere
reso in un modo più degno e nobile, la storia in modo meno
mutilato e difettoso? Non è fino a ieri che vicino a
Trieste passava la più aperta frontiera tra l'Oriente e
l'Occidente, al tempo della guerra fredda e della grande
prosperità della città di San Giusto? Gli Italiani e i
Croati in Istria, in questi ultimi anni, non hanno forse
trovato un linguaggio comune per opporsi al nazionalismo
tudjmaniano molto più di quanto non sia stato fatto altrove
in Croazia? E alla fine a chi serve questa
strumentalizzazione di cui siamo testimoni? Non
siamo ingenui. Si tratta di una mobilitazione
eccezionalmente riuscita del berlusconismo nello scontro con
l'opposizione, con la sinistra e le sue relazioni col
comunismo che, secondo le parole di Berlusconi, ha sempre e
solo portato "miseria, morte e terrore", e persino
anche quando sacrificò 18 milioni di vittime di Russi nella
lotta per la liberazione dell'Europa dal fascismo.
Questa campagna meditata è iniziata 5-6 anni fa, al tempo
in cui fu pubblicato "Il libro nero sul
comunismo", distribuito pubblicamente dal premier ai
suoi accoliti. Essa è condotta, pubblicamente e dietro le
quinte, abilmente e sistematicamente. Il suo vero scopo non
è nemmeno quello di accusare e umiliare gli Slavi, ma
danneggiare i propri rivali e diminuire le loro possibilità
elettorali. Ma gli Slavi – in questo caso perlopiù Croati
e Sloveni – ne stanno pagando il conto. Esiste
una sorta di "anticomunismo viscerale" che secondo
le parole di un mio amico, il geniale dissidente polacco
Adam Michnik, è peggio del peggiore comunismo. Il
sottoscritto forse ne sa qualcosa di più: ha perso quasi
l'intera famiglia paterna nel gulag di Stalin. Ma per
questo non disprezza di meno i fascisti.
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