CAPIRE La Mafia Dal Significato Delle Parole: “Cosca”°°CINQUE Conseguenze Filosofiche Della Crisi
di lucillafiaccola1796
28 marzo 2010 15:04
CAPIRE La Mafia Dal Significato Delle Parole: “Cosca”
CINQUE Conseguenze Filosofiche Della Crisi da
ComeDonChisciotte 2009
CERCHIAMO DI CAPIRE LA MAFIA capendone la terminologia. Si
parla sempre di cosca mafiosa per indicare una famiglia
mafiosa, una banda di mafiosi che controlla un certo
territorio. Ma da dove viene la parola “cosca” e perchè
viene usata? Ebbene in siciliano una cosca è una foglia di
carciofo. L’uso del termine in ambito mafioso non è
casuale. Le “cosche”, le foglie del carciofo, formano
varie cerchie, le cerchie più esterne proteggono dalla
vista quelle più interne, in modo da mantenere la
segretezza, e Cosa Nostra è appunto una società segreta.
Questo è il punto fondamentale. L’osservatore esterno
vede solo le foglie (cosche) esterne, cioè i delinquenti di
strada, carne da macello che vanno a riscuotere il pizzo ed
eseguono a loro volta i lavori di bassa macelleria e passano
la maggior parte della loro vita in galera o fuggendo dai
killer rivali. Questo è quello che normalmente appare nella
cronaca dei giornali e che non spiega la vera natura
dell’organizzazione. Le foglie esterne a loro volta, hanno
una visione limitata dell’organizzazione interna, perché
il sistema di cerchie ne impedisce la vista. Via via che che
ci si inoltra verso l’interno, le cerchie sono costituite
da sempre meno foglie, fino a quando non si arriva al
“cuore” del carciofo Cosa Nostra, segretissimo e la cui
conoscenza e visibilità è ristretta a pochissime persone.
Questa struttura finalizzata al mantenimento della
segretezza serve non solo a proteggere i propri membri dalla
legge, ma anche a nascondere ciò che ha sempre garantito la
crescita ed il prosperare dell’organizzazione, cioè i
legami con il potere politico, economico e uomini delle
istituzioni. Dunque il carciofo Cosa nostra è una società
segreta, come per esempio la carboneria e la massoneria.
Anzi, sicuramente cosa nostra alla sua nascita 10-20 anni
prima dell’unità d’Italia ha tratto i suoi riti dalla
massoneria dell’epoca (si legga ad esempio il libro di Jon
Dickie, “Cosa Nostra, storia della mafia siciliana”),
addirittura potrebbe esserne essa stessa una ramificazione.
Quest’ipotesi spiegherebbe benissimo il perdurare dei
rapporti dei vertici dell’organizzazione con politica,
economia e istituzioni ed è supportata per esempio dalle
dichiarazioni del collaboratore Maurizio Avola che sostiene
che quasi tutti i capi mafia sono massoni, e dai memoriali
del pentito Vincenzo Calcara, che addirittura disegna uno
scenario più ampio, in cui Cosa Nostra e la massoneria
deviata sono due entità di un sistema segreto del male,
formato da cinque entità e governato da una super
commissione che coordina le operazioni delle varie
entità.
CINQUE CONSEGUENZE FILOSOFICHE DELLA CRISI
L’attuale crisi economica non si limita a una questione di
statistica, né si riduce all’impatto devastante di
incertezza e disoccupazione sulla società.Con la debacle
mondiale è crollata una visione del mondo che era sembrata
quella dominante e irreversibile dopo la caduta del muro di
Berlino.Questa visione è stata catturata da alcune
citazioni celebri come “la fine della storia” di Francis
Fukuyama, “la società non esiste” del primo ministro
britannico Margaret Thatcher o i dieci punti del consenso di
Washington che promuovevano la liberalizzazione, la
deregolamentazione e la privatizzazione globale. Il nuovo
dogma seguito alla sconfitta del comunismo era dare tutto il
potere al settore privato, assumere il mercato a misura di
razionalità economica e utopia e l’individualismo più
sregolato come principio etico ordinante. Con la recessione
economica anche questa visione del mondo è entrata in
crisi. BBC Mundo ha identificato cinque conseguenze a
livello filosofico.
1. Filosofia politico-economica
La legge della domanda e dell’offerta ha esercitato un
potere assoluto sulle teorie di politica economica degli
ultimi tre decenni.
Secondo il pensiero classico, l’offerta e la domanda
funzionano come un perfetto sistema omeostatico
(autoregolamentato) che tende all’equilibrio perfetto e fa
perno su un principio infallibile: il prezzo.
Con molta domanda e poca offerta di un prodotto, il prezzo
sale fino a raggiungere la somma che il mercato può pagare
per quel bene.
Al contrario, con poca domanda e molta offerta, il prezzo si
comprime finché qualcuno non lo acquista con la convinzione
di non trovarlo a costo più basso. Nemmeno il premio nobel
conferito all’economista Joseph Stiglitz per la sua
ricerca sul ruolo che l’informazione svolge in questo
mercato – l’informazione su cui fanno affidamento le
migliaia, milioni di persone coinvolti in un particolare
mercato non era perfetta, quindi il prezzo rifletteva altre
variabili – ha distrutto questa fiducia cieca nel
funzionamento omeostatico. Con questa premessa teorica, cosa
c’era di meglio che deregolamentare tutto e lasciare che
il mercato si incaricasse degli equilibri economico-sociali?
Il fatto è che la realtà economica è piena di fenomeni
imprevedibili. Dov’è il meccanismo regolatore del mercato
in quelle che vengono chiamate bolle, come quella
immobiliare dei mutui sub-prime che ha sguinzagliato la
crisi attuale? Il prezzo delle proprietà, in costante
ascesa, rifletteva la situazione di domanda e offerta?
La conclusione più ovvia è che domanda, offerta e prezzo
fanno parte di un meccanismo socioeconomico infinitamente
più complesso di questa ingiustificata semplificazione che
è stata applicata per così tanto tempo.
2. Crisi della razionalità di mercato
Le domande precedenti danno per scontata una premessa
fondamentale della legge della domanda e dell’offerta: la
razionalità dei mercati.
L’essere umano cerca da molto tempo la razionalità in
materia economica e filosofica. La pianificazione economica
che fece furore dopo la crisi del ’29 e il dopoguerra ebbe
come obiettivo la sintonizzazione di produzione e consumo
con le necessità della società. Con il crollo del
comunismo il mercato si impose come unica logica globale.
Secondo questa ideologia il mercato era razionale ed
efficiente per la distribuzione delle risorse, tanto in
ambito lavorativo che produttivo e finanziario. La debacle
mostrò che il mercato ha la stessa dose di irrazionalità,
capriccio, imprevedibilità di qualsiasi individuo o gruppo
umano. Il che ci pone di fronte a un problema
inquietante.
Se i mercati o lo stato non sono alla base di un
funzionamento socioeconomico razionale, significa che siamo
in balia degli elementi?
3. Conseguenza assiologica: teoria dei valori
Questa apparente disparità nella consuetudine
socioeconomica viene completata da una crisi di fondamenti
etici. Dagli anni ’80 e in particolare con la caduta del
muro di Berlino si è imposto un individualismo basato su
una teoria dell’egoismo come valore organizzativo ideale
di una società. La teoria risale ad Adam Smith e alla sua
considerazione del fatto che la miglior maniera di
comportarsi socialmente, recando beneficio al prossimo,
fosse quella in cui ognuno persegue il proprio interesse, in
quanto la mano invisibile del mercato avrebbe messo a posto
qualunque problema sul cammino. Adam Smith non ha mai negato
l’azione sociale né il compito dello stato, e nemmeno la
presenza dei valori (la giustizia era fondamentale nel suo
sistema) come da interpretazioni seguenti frutto di
ignoranza o malafede.
Ma uno dei suoi seguaci, Frederich Von Hajeck e il suo
discepolo Milton Friedman, radicalizzarono le sue idee. Ayn
Rand, autrice di romanzi e filosofa che cominciò a
diffondersi negli anni ’40, ha avvalorato dal punto di
vista filosofico questa inversione di tendenza sostenendo
che l’egoismo come cieca ricerca del proprio benessere era
alla base della civiltà. Tra i suoi discepoli c’era Alan
Greenspan, anni dopo alla guida della Federal Reserve
statunitense dal 1987 al 2006, quindi durante il periodo
della più completa deregolamentazione finanziaria.
Lo stesso Greenspan ha riconosciuto di fronte al Congresso
che il suo costrutto teorico faceva acqua. “Mi stupisce.
Nel corso di 40 anni e oltre le prove sostenevano
l’eccezionale efficienza di questo sistema”, ha
dichiarato Greenspan. Oggi si è trovato un accordo sul
fatto che la ricerca sfrenata del proprio tornaconto è
stata determinante nelle due megacrisi mondiali degli ultimi
80 anni, la grande depressione e questa. Sono necessarie
altre prove, oltre all’impatto devastante di queste
ultime?
4. Rischio, casualità, incertezza
Una premessa dell’illuminismo che si è sostituita alla
fede per due secoli è stata la possibilità di una
corrispondenza tra ciò che diciamo e la realtà. Tale
corrispondenza era alla base della conoscenza scientifica e
della previsione di fenomeni e tendenze. Dall’inizio del
XX secolo questa premessa è stata più volte confutata (da
Ludwig Wittengstein fino al principio di incertezza del
fisico Werner Heisenberg e il relativismo radicale dei
postmoderni), ma una fede di fondo nei suoi principi è
sopravvissuta in molti campi, tra cui l’economia. Due
finanzieri ben noti, immersi in dibattiti filosofici, sono
convinti che questa crisi metta nella posizione di dover
ripensare alle cose. George Soros ha studiato filosofia alla
London School of Economics con Karl Popper, e ha appena
pubblicato le sue conclusioni in Cattiva Finanza. Come
uscire dalla crisi, il cui suggestivo sottotitolo è Un
nuovo paradigma per i mercati. Secondo Soros fingere che i
mercati riflettano l’andamento reale dell’economia e che
si autoregolino in base a domanda e offerta significa non
riconoscere il processo fondamentale che gioca la
soggettività, e un fenomeno da lui denominato
riflessività. Il valore dell’oro e degli immobili non
sale perchè riflette la sottostante realtà di domanda e
offerta, ma perchè gli operatori del mercato influiscono su
esso con la loro interazione, come succede nelle bolle
finanziarie che si creano intorno a un prodotto o a un
comportamento di massa (tutti vogliono comprare o vendere un
prodotto nello stesso momento). Un altro investitore con la
stessa inclinazione filosofica, Nassim Nicholas Taleb, ha
pubblicato nel 2007 Il Cigno Nero, in cui afferme che
possiamo prevedere solo gli avvenimenti ovvi e non i
cambiamenti. Taleb lo esemplifica con il cigno nero. Per
molto tempo si pensò che tutti i cigni fossero bianchi
perchè l’osservazione aveva abituato l’uomo europeo a
questo stato di cose. Finché in Australia non apparve un
cigno nero, e si dovette rivedere tutto.
Secondo Taleb nessuno ha previsto alcun terremoto nella
storia dell’umanità. Dall’avvento del cristianesimo
alla caduta del comunismo e agli attentati dell’11
settembre, tutto è successo senza che nessuno lo
anticipasse, anche se a posteriori è stata costruita una
narrativa esplicativa piena di cause che rendevano
inevitabili questi avvenimenti. Se non possiamo anticipare
le cose più importanti, cosa sappiamo?
5. Conseguenza ontologica
Dopo tutte queste considerazioni, si può formulare la
domanda centrale dell’ontologia, la branca della filosofia
che si occupa dello studio degli enti. Cosa esiste, cos’è
reale in questo universo socioeconomico? Nel XVII secolo
Cartesio dovette rifarsi al proprio pensiero per arrivare ad
una certezza soggettiva di ciò che esisteva effettivamente:
penso, quindi esisto. Il povero Cartesio non visse in questo
mondo quasi irreale della finanza del XXI secolo. Se è
relativamente facile trovare delle basi reali per produzione
e consumo, è molto più complesso capire lo status degli
strumenti finanziari come i noti attivi tossici (debiti
praticamente non riscuotibili) o i derivati (contratti di
acquisto futuro basati su una scommessa sul valore che il
bene avrà: materia prima, ipoteche, liquidità ecc.),
fondamentali per comprendere la crisi che stiamo vivendo.
Nel 2007 si calcolava che il Pil mondiale (tutti i beni e
servizi prodotti nel mondo) fosse di 63mila miliardi.
In quello stesso anno si stimava che il mercato dei derivati
facesse girare 596mila miliardi, quasi dieci volte in più
di quello che il pianeta produceva. Il valore del Pil si
riferisce a cose tangibili. Cos’hanno di reale i derivati
o le bolle, queste scommesse esagerate sui prezzi futuri?
Non è una domanda che si pongono solo i neofiti in materia
economica. “In termini filosofici gli economisti sono dei
materialisti per cui i sacchi di grano sono molto più reali
dei portafogli di buoni”, ha spiegato all’ Economist
Perry Mehrling del Barnard College, alla Columbia
University.
E tuttavia, come dimostra lo stesso funzionamento del
denaro, l’economia è una realtà molto più elusiva.
“Il denaro non è una cosa del tutto reale. E’ la
promessa che uno potrà comprare qualcosa. Proprio come
quello che uno tiene depositato in banca. E’ una promessa
che la banca pagherà. Se la banca fallisce, la promessa non
esiste più”, ha illustrato a BBC Mundo Jon Danielsson
della London School of Economics. Se moltiplichiamo questo
per i miliardi di transazioni giornaliere che si fanno in
denaro contante o buoni, titoli e altri beni volatili del
mondo finanziario, si può vedere quante promesse non sono
state mantenute. Titolo originale: “Cinco consecuencias
filosóficas de la crisis” Fonte: http://www.bbc.co.uk
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