Un dubbio accompagna da tanti anni tanti libri, qualche
film: cosa sapevano Roma e il mondo cattolico degli orrori
della Shoah? Dubbio che non tormenta chi ha vissuto il
dramma dei desparecidos argentini. La Chiesa di Buenos Aires
sapeva e ha taciuto. Qualche volta il silenzio nasconde
complicità imbarazzanti di certi esponenti delle gerarchie.
E altri vescovi che assistevano impotenti all?intrigo,
aiutando chi era possibile aiutare, riescono a rompere il
silenzio solo quando la democrazia si è consolidata.
Chiedono perdono in tv, loro incolpevoli frustrati,
scontentando il portavoce della commissione episcopale,
monsignor Laguna.
«Dovevano battersi il petto a titolo personale, non parlare
a nome della Chiesa». Succedeva dieci anni fa, gli anni di
Menem. Inebriato da una presidenza dedicata
all?arricchimento personale, ha appena sfiorato le
complicità militari lasciando intatto un potere che ancora
spaventava.
L?ultimo libro di Horacio Verbitsky, "L?isola del silenzio"
(Fandango, pp. 177, euro 15,00) scava nelle complicità più
o meno nascoste sulle quali mai è stato aperto un confronto
coraggioso. Saggio che ha il passo di un racconto
nell?impalcatura di documenti, testimonianze, confessioni
precise ed incalzanti. Riporta ai gironi dei campi di
sterminio nazisti anche se i morti sono «solo» 30 mila,
scelti uno per uno con vescovi e tanti sacerdoti testimoni
dagli occhi chiusi. Sapevano e difendevano l?ordine militare
impegnato a spegnere il «pericolo comunista».
L?isola del titolo è il posto dove il cardinale Aramburu
amava riposare, non lontana da Buenos Aires, nell?intrigo
dell?arcipelago del fiume Tigre. Proprietà della Chiesa, ma
usata dalla Marina Militare per rieducare i prigionieri
considerati meno pericolosi. Li portano come pacchi umiliati
dalle soffitte della scuola Meccanica - Esma - dove
torturavano e
uccidevano nel "buen retiro" del cardinale, quindi al di
sopra di ogni sospetto, quando la commissione interamericana
per i diritti umani pretende di visitare l?officina degli
orrori. Si sgombra in fretta. Camere di tortura e celle
trasformate in uffici e i prigionieri trascinati nella notte
nelle baracche in mezzo al fiume. Nascosti perché non
raccontassero le loro storie e le storie dei compagni
spariti nei voli del capitano Scilingo.
Scilingo è finito in carcere appena qualche mese fa, ma in
Spagna, non in Argentina dove viveva tranquillo. La sua
confessione a Verbitsky - Il volo - è il libro che ha fatto
il giro del mondo precisando i metodi della repressione
lasciando nell?ombra le radici che proteggevano il massacro.
Ed ecco il racconto dedicato a queste radici, sintesi di una
ricerca lunga anni: protagonisti il cardinale Aramburu,
presidenti della commissione episcopale, vescovi e preti
testimoni che non si ribellano a delitti e torture
interpretate come mali necessari dei quali chiedere perdono
solo a Dio.
Anche il nunzio apostolico Pio Laghi (oggi cardinale) esce
sgualcito dai racconti delle madri di piazza di Maggio; da
documenti, testimonianze di ambasciatori e sopravissuti. E
poi l?amicizia tra il nunzio e Massera, uomo P2, dittatore
che ha governato la repressione: «suo compagno di tennis
ogni quindici giorni per quattro anni» , ricorda Verbitsky.
Ha benedetto le nozze di Massera, battezzato i figli
trasferendo l?amicizia all?ammiraglio Lambruschini quando ne
ha preso la poltrona. Ma Lambruschini non giocava a
tennis.
Verbistky firma la posta elettronica col nome «perro».
Vuol dire cane, fiuto del cane da caccia. Cronista
formidabile, le sue inchieste incantano per precisione e
libertà che nessuna autorità è mai riuscito ad
imbrigliare. I libri dedicati a Menem - Robo par la corona,
Un mundo sin periodistas («Rubo per il potere», «Un mondo
senza giornalisti»)- anno sgretolato l?immagine sorridente
del presidente che i fiduciosi votavano senza sapere.
Narratore incalzante, è un Giorgio Bocca latino.
Perché la Chiesa argentina si è divisa di fronte alla
dittatura? «Era già divisa prima del golpe militare. Come
la Chiesa universale, la Chiesa argentina ha trascinato nel
Novecento l?impegno integralista per cattolicizzare la
società civile scontrandosi con la borghesia liberale che
ha organizzato l?Argentina alla fine dell?Ottocento. Ma
arrivano gli immigrati. Masse anarchiche e socialiste con
problemi sociali che inquietano e favoriscono
l?avvicinamento tra Chiesa e borghesia. Liberali incapaci di
creare una politica a tutela dei propri interessi, come è
successo nell?altra America e in Europa, mentre la Chiesa si
prodiga per avvicinare l?esercito con l?impegno di
evangelizzarlo. E vi riesce. Questa la chiave di tutti i
golpe militari del Novecento. Spiega lo scontro tra Peron e
la Chiesa nel ?55 e l?appoggio dei vescovi alla dittatura
militare del 1976. Dopo il messaggio di Pio XII, Natale ?44,
la Chiesa universale rinuncia all?integralismo per dialogare
con le democrazie pluraliste. Ma la Chiesa argentina non
rinuncia. Nei vent?anni che seguono il golpe, i presidenti
della commissione episcopale, cardinale Caggiano e
l?arcivesco Tortolo, restano portavoci dell?egemonia.
Entrambi pastori dei fedeli e, nello stesso tempo, vicari
generali delle forze armate. I militari
golpisti non hanno fatto nulla di più che dare pratica agli
appelli che questa Chiesa rivolgeva agli argentini. Si
opponeva una minoranza ecclesiale repressa perché
obbediente ai principi del Concilio Vaticano II. Ma la
dittatura non sopportava digressioni. Per dare un esempio:
ha
assassinato il vescovo Enrique Angeletti e Carlos Ponce de
Leon, mettendo in scena falsi incidenti stradali. Tanti
preti e laici sono stati sequestrati, torturati,
assassinati».
Quali sacerdoti, vescovi o cardinali hanno seguito il
Vangelo di Massera, titolo di un capitolo del suo libro?
«Poco prima del golpe il presidente della commissione
episcopale, monsignor Adolfo Tortolo, paragona la crisi
argentina alla crisi che tormentava la Spagna alla vigilia
della guerra civile del ?36. Esalta le forze armate, la loro
forza profonda così preziosa nelle avversità. Quasi
descrive i metodi da usare per contenere la sovversione e
ristabilire la
normalità. E il vice presidente della commissione
episcopale, cardinale Raul Primatesta, aggiunge: "Non sono
un profeta del castigo, ma giudico la situazione molto grave
e molto seria. Non possiamo accontentarci di buone parole,
bisogna mettersi all?opera. Può essere che il rimedio sia
duro perché la mano sinistra di Dio si dice paterna, ma
può diventare pesante". Il cardinale è morto l?altro ieri,
primo maggio, a 87 anni. Per "aver servito la sua Chiesa con
grande generosità e impegno" (parole del necrologio del
cardinale Bergoglio) viene confermato per quattro volte
presidente della commissione episcopale, esercita per
trent?anni un?influenza senza limiti sulla gerarchia
cattolica e nella vita istituzionale del paese. Si è
opposto con tenacia ad ogni critica sulla collaborazione tra
sacerdoti e vescovi e militari assassini. E ogni volta che
le Madri di Piazza di Maggio hanno chiesto di incontrarlo
per intercedere la sua collaborazione nel fare luce sui
figli, mariti e nipoti spariti, il cardinale ha sempre fatto
sapere: "Non vivo nel passato, non ho niente da dire a
riguardo". E non le ha ricevute. «Una delle prime cose
fatte dalla Chiesa dopo il golpe - continua Verbitsky - è
stata la consegna ai servizi segreti militari degli
indirizzi di professori e studenti che frequentavano collegi
privati di proprietà di religiosi. Molti di loro sono
spariti».
E la burocrazia della Chiesa romana come ha reagito? «Con
lo stesso doppio gioco della Chiesa argentina. Per dare un
esempio: nel 1970 Paolo VI riceve le credenziali del nuovo
ambasciatore di Buenos Aires. Durante l?udienza pubblica il
papa lo avverte che il Vaticano
aspetta spiegazioni sugli assassini di alcuni sacerdoti e
laici. Ma nell?udienza privata Paolo VI dice
all?ambasciatore di non preoccuparsi e comunica parole di
elogio per il dittatore Videla».
Bisogna dire che Paolo VI era stremato. Stava per morire:
morirà qualche settimana dopo. Le sue parole ricalcano i
documenti con i quali la diplomazia vaticana lo teneva
informato...
«Il nunzio, monsignor Pio Laghi (oggi cardinale), aveva
invitato Patricia Derian, segretaria per i diritti umani
della commissione di Carter, presidente Usa, a non far
pressioni sul governo argentino per non scatenare
un?oppressione più radicale. I militari sapevano di
aver
commesso delitti e violazioni e non era il caso di spargere
sale sulle loro ferite. In fondo Videla era cattolico
osservante. Stava dando ordine al paese tirandolo fuori dal
caos».
Come ha reagito la Chiesa argentina ai documenti de
«L?isola del silenzio»? «Il cardinale Bergoglio, al tempo
provinciale dei gesuiti, oggi presidente della Commissione
Episcopale, ha risposto attraverso il portavoce, sacerdote
Guillermo Marcò. Ha tentato di squalificare la mia persona
dichiarando che avevo intenzione di danneggiarlo nelle
settimane del Conclave nel quale figurava tra i papabili
(danneggiarlo perché il libro raccoglie storia e
testimonianze su due gesuiti, Yorio e Jalics, che Bergoglio
avrebbe "abbandonato" permettendo la persecuzione dei
militari). Cosa che è cronologicamente impossibile, dato
che il libro è frutto di anni di indagini ed è stato
consegnato sei mesi prima dell?aggravarsi delle condizioni
di Gianni Paolo II. Per screditare l?inchiesta si dice che
il prete Orlando Yorio non poteva confermare in quanto
morto; invece era vivo, nel 1999, quando ho pubblicato la
prima intervista nella quale - lui vittima - accusava
Bergoglio. Non ha smentito. Al contrario, mi ha inviato
poche righe che si aprono con la parola "Grazie". Un
sacerdote vicino a Bergoglio mi ha rimproverato: "Il
cardinale è sempre stato molto stimato.". Ho risposto:
quando ho trovato questi documenti cosa dovevo fare?
Stracciarli o fingere di non averli visti?».