In questi ultimi tempi si stanno moltiplicando gli appelli a
diminuire il consumo della carne. Essi vengono da autorevoli
enti internazionali e segnalano il costo abnorme in termini
di consumo energetico e di inquinamento ambientale che la
famosa "fettina" o "bistecca" impone al mondo intero.
Fra i miei vecchi scritti, ne ho ripescati un paio del
2002!!! Adesso ne ripropongo uno, quello del 15 marzo 2002,
dal titolo 15.3.2002 "Una riflessione sul mangiar carne e
sul rapporto con gli animali"; nei giorni seguenti,
rimettero in circolazione qui anche l'altro, quello del
15.5.2002.
Ecco il primo:
"Una riflessione sul mangiar carne e sul rapporto con gli
animali" (15.5.2002):
Poche settimane fa, la notizia che una giovane donna
italiana ha contratto il morbo di Creutzfeldt-Jacob, la
versione umana dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE),
comunemente nota come "morbo della mucca pazza" ha riportato
per alcuni giorni l'attenzione dei mezzi di comunicazione
sulla realta' e la costante attualita' di questa grave
minaccia. Le dichiarazioni rilasciate dalle diverse
autorita' competenti in materia sono risultate, a una
lettura attenta, alquanto contraddittorie e confuse; piu'
che rassicurare, sono li' a dimostrare che, purtroppo, in
questo campo non possono esservi certezze tranquillizzanti.
Troppo elevate le cifre in gioco (degli animali infettati,
delle partite di carne infetta gia' consumate e forse in via
di consumazione, dei capitali investiti nell'allevamento di
massa degli animali), troppo lungo il periodo di incubazione
del morbo, ancora limitate le conoscenze scientifiche. La
realta' e' questa, e la conosciamo grazie alle diverse e
molteplici informazioni diffuse specialmente nell'inverno
2000/2001, quando l'argomento fu classificato -cosa
veramente eccezionale- "di attualita'" per diversi mesi.
Il punto, pero', e' che esso e' di attualita' ogni giorno,
anche quando nessun organo di informazione ne parla, e
soffermarsi su di esso sembra essere la cosa piu'
ragionevole da farsi nella semplice ottica della
salvaguardia della salute sia della singola persona sia
della collettivita'.
Detto questo, viene da chiedersi se un'epidemia cosi' grave,
una minaccia cosi' incombente, che riguarda soprattutto
quella parte di umanita' che vive nei paesi ricchi, non
possa essere considerata un segnale, un richiamo di
attenzione su un modo di vivere che diamo per scontato, ma
che a questo punto chiede con forza di essere messo in
dubbio e sottoposto a un'attenta analisi.
In altri termini, siamo davvero sicuri di poter continuare a
disporre a nostro piacimento della vita di altri esseri
senzienti come sono gli animali di cui abbiamo l'abitudine
millenaria di cibarci -siano essi mammiferi, volatili, pesci
o crostacei?
Non potrebbe darsi che IN QUESTO MOMENTO STORICO e IN QUESTA
PARTE DELLA TERRA ci venga richiesto di cambiare abitudini e
tradizioni che certamente sono radicate dentro di noi, ma
seguire le quali sta diventando, appunto, sempre piu'
pericoloso? E, beninteso, non c'e' solo la BSE -che
basterebbe ampiamente a giustificare questo interrogativo-,
ma c'e' anche l'afta epizootica, l'antrace, la peste suina,
il morbo della lingua blu ..... e gli animali che possono
esserne colpiti non sono soltanto i bovini, ma anche i
suini, gli ovini, i volatili..... Per non parlare degli
ormoni e degli antibiotici somministrati agli animali, che
passano nel nostro organismo mandandolo in crisi su diversi
fronti.
Restando ancora sul piano della salvaguardia della salute,
ci dobbiamo porre anche un altro interrogativo: quando
mangiamo la carne di un animale, in realta', non mangiamo
anche il suo stress per un tipo di allevamento che non
rispetta minimamente le sue necessita' etologiche? Non
mangiamo anche la sua angoscia di fronte alla morte? Non
sembrino domande peregrine. Le attuali conoscenze
scientifiche confermano quanto puo' suggerirci anche la
semplice intuizione: con la carne dell'animale mangiamo
infatti pure l'adrenalina scaricata nell'organismo in
prossimita' della morte o anche dello stordimento, che,
comunque, e' un atto di violenza e da' sofferenza
all'animale. A questo proposito salta agli occhi una cosa
interessante: per alcune civilta' definite primitive cibarsi
di carne -animale ma anche umana- significava assumere la
forza, l'energia, lo spirito che albergava in quel corpo.
Oggi sappiamo che, in realta', ne assumiamo il terrore di
fronte alla morte. Non e' un qualcosa degno di riflessione?
Che effetto puo' fare, materialmente, dentro di noi? Si
possono ipotizzare, anche se non sappiamo come, degli
effetti sul piano morale e spirituale? Ci abbiamo mai
pensato seriamente?
Un'altra considerazione che s'impone a chi intende vivere
con un minimo di attenzione e di discernimento e' quella
relativa al rapporto che esiste fra il consumo di carne nel
mondo ricco e la fame nel resto del mondo. Fonti governative
Usa e della Banca Mondiale forniscono, fra l'altro, i
seguenti dati: negli Usa gli animali consumano il doppio di
cereali dell'intera popolazione di quel Paese; in tutto il
mondo sono circa 600 milioni le tonnellate di cereali
impiegate nell'allevamento degli animali, soprattutto
bovini; se questa quantita' di cereali fosse impiegata per
l'alimentazione umana, verrebbero nutrite un miliardo di
persone. E' dunque assodato che l'attuale modo di allevare
il bestiame e' direttamente responsabile della fame a cui
gran parte dell'umanita' e' condannata. Su questa nostra
cultura occidentale della carne gravano quindi i cinquanta
milioni di morti per fame all'anno, e anche il miliardo e
mezzo di popolazione mondiale che sopravvive -denutrita- con
meno di un dollaro al giorno. Sono tutte cose che in teoria
si sanno bene e che numerose pubblicazioni e circostanziati
documenti -anche delle Chiese cristiane in Italia- non
dimenticano di sottolineare.
Ma, in questo campo, si puo' andare un po' piu' in la' della
semplice denuncia e della generica richiesta di
solidarieta'? Si puo' riuscire a ipotizzare o addirittura a
compitare quella dolorosa, dura realta' che ciascuno di noi
e' direttamente responsabile di questo stato di cose nella
misura in cui continua a sostenere la moderna industria
dell'allevamento, quando potrebbe evitare di mangiare carne,
o almeno ridurne il consumo, senza rischio per la propria
salute, anzi, per quello che si e' detto prima, anche con un
sicuro vantaggio?
Un altro aspetto legato a doppio filo col precedente e
un'altra dura realta' da guardare in faccia e' il fatto
-anch'esso inconfutabile- che il moderno allevamento
specialmente dei bovini, ma non solo di essi, ha un impatto
tremendo sull'ambiente, sia in termini di distruzione delle
foreste pluviali (Amazzonia, ad esempio) per far posto ai
pascoli necessari a fornire la carne alle diverse catene di
fast food, sia in termini di produzione diretta o indiretta
di gas serra. In "Ecocidio", Jeremy Rifkin, dopo aver
osservato, dati ufficiali alla mano, che:
"Oggi, negli Stati Uniti, per produrre mezzo chilogrammo di
carne bovina e' necessaria l'energia equivalente a quattro
litri di benzina. Per il fabbisogno annuo di una famiglia
media di quattro persone servono piu' di 1100 litri di
combustibili fossili, il cui consumo rilascia nell'atmosfera
2,5 tonnellate di anidride carbonica: tanta quanta ne
emette, in media, un'automobile in sei mesi di normale
esercizio" (p. 256),
conclude che
"Ogni chilogrammo di carne bovina e' prodotto a spese di una
foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo
isterilito, di un fiume disseccato, del rilascio
nell'atmosfera di milioni di tonnellate di anidride
carbonica, monossido di azoto e metano" (p. 258)
Davvero, dunque, la distruzione dell'ambiente, della nostra
unica terra, e' qualcosa su cui non possiamo incidere, che
non sta a noi contribuire a fermare? O ne portiamo
direttamente, uno per uno la responsabilita' proprio nel
mantenere le nostre abitudini che consideriamo cosi'
innocue?
Noi continuiamo a chiederci: "Che ci posso fare?", e non
c'e' risposta. E' meglio, forse, provare a chiederci: "Che
cosa posso non-fare?".
E, arrivando alla conclusione, ecco la considerazione piu'
rilevante, che dovrebbe rivestire un particolare interesse
per tutti coloro -singoli individui o gruppi- che ritengono
necessaria una maggiore umanizzazione dell'essere umano
(onestamente ancora un po' rozzo e immaturo quanto a
sensibilita'), fra i quali certamente si annoverano i
cristiani con le loro chiese.
Si tratta del tema della compassione, del senso di
misericordia rivolto verso gli animali in quanto esseri
senzienti, e capaci, come affermano ormai concordemente gli
studiosi, anche di provare sentimenti molto vicini a quelli
che, fino a poco tempo fa, ritenevamo monopolio degli esseri
umani.
Ancora una volta e' la minaccia della BSE a metterci di
fronte alle immagini raccapriccianti dello sterminio di
massa dei bovini avvenuto tempo fa in Gran Bretagna, ma non
solo. In primo piano la massa scura delle migliaia di bovini
uccisi, sullo sfondo il bagliore del rogo, al margine
qualche figura umana dall'aspetto di fantasma, il tutto
avvolto in un'atmosfera greve e certamente maleodorante;
nauseabonda in tutti i sensi della parola.
Che sentimenti abbiamo provato? E' un buon test per misurare
il nostro grado di umanita'.
Ma quelle immagini non sono la testimonianza di un episodio
isolato, una specie di pur doloroso, ma eccezionale "una
tantum". Bisogna chiedersi con molta serieta' se
quest'olocausto, come qualcuno, con perfetta attinenza
letterale, lo ha chiamato, non possa essere il logico
risultato, addirittura parte integrante, di tutto un modo di
concepire il rapporto fra l'essere umano e l'animale, che ha
certamente una storia che si perde nella notte dei tempi, ma
che proprio per questo, adesso, e' venuto il momento di
illuminare.
Quella concezione, cioe', dell'animale come mero strumento
al nostro servizio, che porta a usarlo, senza il minimo
rispetto per la sua sensibilita', la sua sofferenza, la sua
paura, anche per i piu' futili motivi, quali le feste piu' o
meno paesane, molte delle quali, rincresce dirlo, a sfondo
religioso.
Dov'e' qui la compassione?
Non hanno, anche gli animali, diritto all'umana
compassione?
E se ci fosse un dubbio sulla liceita' della parola
"diritto" a proposito degli animali, ebbene, allora s'impone
un'altra domanda ancora piu' seria: puo' la compassione
agire a corrente alternata? O essa e' un qualcosa che, se
esiste, agisce sempre? Puo' essere corretto ipotizzare che
se la compassione esiste, c'e' per tutto e per tutti, e, se
non c'e' per qualcuno, allora non c'e' per nessuno, nemmeno
per gli altri esseri umani, nemmeno, addirittura, per quelli
che chiamiamo i nostri cari?
A me -lo ripeto- pare che queste domande abbiano una logica
e rivestano un minimo di interesse proprio per chi ha a
cuore il benessere, in tutti i sensi, degli esseri umani
come singole persone e comunita' -da quella piu' piccola
alla piu' vasta comunita' umana nel suo insieme. E fra chi
afferma con forza di avere a cuore una cosa del genere vi
sono le comunita' religiose.
E' per questo che, essendo italiana ed essendo stata educata
nella tradizione cristiana, indirizzo espressamente queste
considerazioni anche alle Chiese cristiane che sono in
Italia. Ho infatti l'impressione che esse possano e debbano
-INSIEME A TUTTI GLI ALTRI- dare un loro contributo
specifico per una valutazione critica della cultura della
carne -se possibile, anche per una concreta presa di
distanza da essa-, e, piu' ampiamente, per il superamento
della visione dell'animale quale "oggetto" di cui disporre
senza limiti. Infatti, l'idea che gli animali esistano per
servire gli esseri umani e siano abbandonati al loro
arbitrio affonda senza dubbio le proprie radici in una
visione del mondo che risale a una determinata
interpretazione ecclesiastica di alcuni passi biblici. Dato
che questa visione del mondo ha tutta l'aria di dare frutti
sempre piu' avvelenati, e' lecito chiedere a tali Chiese di
prendere la parola in modo da chiarire eventuali
fraintendimenti o far conoscere eventuali aggiornamenti
dell'esegesi biblica su questo tema. D'altra parte, e' noto
che vi sono differenze notevoli d'interpretazione non solo
in seno alla cristianita' (gli Avventisti, a quanto ne so,
non mangiano carne), ma anche all'interno di una stessa
confessione (nel cattolicesimo mi consta che vi sia sempre
stato anche un filone di pensiero - messo a tacere e
perseguitato come eretico- che vede l'essere umano non al di
sopra degli animali, ma ACCANTO ad essi, sia pure con
proprie peculiarita'. E da qualche tempo ha ripreso vigore
anche la domanda, che fu forse Giovanni Scoto Eriugena il
primo a formulare compiutamente nel IX secolo, non solo se
gli animali abbiano un'anima, ma se anch'essa non debba
essere, per forza di cose, immortale).
La realta' drammatica della BSE, che nasce proprio nella
casa comune europea e che non puo' essere imputata -come
l'AIDS- a comportamenti considerati devianti o peccaminosi,
impone di aprire e approfondire un'indagine a tutto campo e
senza pregiudiziali di sorta per verificare se sia il caso
di riscoprire usi alimentari e modi di rapportarsi alle
altre specie animali che, praticati o intuiti in passato,
sono stati rimossi per i piu' svariati motivi, e anche
-perche' no?- di inventarne di nuovi che si rivelino piu'
lungimiranti e rispondenti alle attuali esigenze di
sopravvivenza anche della vita umana sul nostro pianeta.
A questa responsabilita' NESSUNO -singolo individuo o gruppo
che sia- PUO' SOTTRARSI.
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