questo scritto NON è mio ma sono d'accordissimo, anche a
fiuto...!
LO SCHIFO OLTRE LO SCHIFO Non c’è niente di più simile
alla rete fognaria di una metropoli monnezzara e cagona, che
la rete mediatica dei nostri giorni. Ci sono canali con
acque più o meno nere. Qui parlo della cloaca massima. Di
un gaglioffo strascreditato, sia per la prosa tortuosa e
fuffarola, sia per ciò di osceno quella esprime, condannato
x-volte per omicidio e scampato alla totalità della
condanna grazie ai suoi atti di sconcio asservimento alla
criminalità organizzata ufficiale, burina o cosmopolita,
c’era da aspettarselo- Ci sono anni di precedenti del suo
sicariato mediatico (“Panorama”, “La Repubblica”,
“Il foglio” del commilitone Ferrara) ovunque la
necrofagia dei predatori finanziari e militari potesse
avvantaggiarsi dei suoi miserabili puntelli. Adriano Sofri,
spurgo tossico dell’intellighenzia nazionale, dopo essere
stato il leader di un’organizzazione di cui si fece
indegno, Lotta Continua (ero al giornale con lui, lo presi a
cazzotti per la sua dispotica arroganza), è risalito la
scala della rispettabilità pubblica offrendo lieto, piolo
dopo piolo, il prezzo dell’autodistruzione morale e
politica. La scala è lunga quanto gli anni che lo separano
dai servizietti a Craxi. Un ristretto florilegio: le
falsità, commissionategli dai servizi segreti bisognosi di
pretesti per distruggere Jugoslavia e Serbia, sulle stragi
del mercato di Sarajevo, 1993 e 1995, attribuite ai serbi e
provate dall’inchiesta ONU responsabilità del compagno
fascista Itzebegovic; la satanizzazione di Saddam e
dell’Islam, il soffietto democraticista alle
destabilizzazioni e ai golpe delle varie rivoluzioni
colorate, l’avallo alle mistificazioni dell’11 settembre
e seguenti, la militanza alla Apelius per ogni crimine di
guerra, l’intimità con i nazisionisti perfino su Gaza…
Non se ne è lasciata mancare una, Sofri, di occasioni per
dare il suo contributo alle dittature e ai terrorismi del
Capitale. Riassumo le tracce che questo muselide ha
evacuato su La Repubblica il 24 agosto scorso. “Sogno una
polizia del mondo, catastrofica la rinuncia ad abbattere
Gheddafi, irresponsabile non distruggere con tutti i mezzi
la tirannide sanguinaria di un buffone, buffone sanguinario
che pianta le tende a palazzo Marigny, mentre Sarkozy sfotte
l’ottimo Bernard Henry Lévy che lo rimprovera di averlo
ricevuto” (questo pagliaccio reazionario, pseudofilosofo
come il nostro cacasenno da robivecchi della letteratura,
caricatura goblin del pensiero politico, cantore di ogni
infamia, è di Sofri il modello supremo). E poi avanti:
“fare stragi di civili per abbattere regimi è la
contraddizione largamente inevitabile nelle relazioni
internazionali; chi vi si sottrae per rispetto alla
cosiddetta sovranità nazionale (cosiddetta!) si fa complice
attivo di crimini immani”. Trema, Sofri, al pensiero di
“cosa sarebbe accaduto alla popolazione indifesa di
Bengasi se la Nato non avesse impedito ciò che Gheddafi e i
suoi ferocemente giuravano”. Che Gheddafi non ha mai
giurato, né immaginato, ma che i briganti del golpe hanno
attuato oltre ogni immaginazione splatter darioargentesca.
Non rinunciando a nessuna leccatina ai piedi di coloro a
cui deve farsi perdonare, non tanto l’assassinio (si trova
tra compari), ma di aver alimentato e organizzato una
speranza rivoluzionaria, Sofri pietisce attenzione e
remunerazione ai carnefici dissotterrando altri pezzi
dall’obitorio: “Sebrenica, Ruanda, Kosovo, il Tibet, gli
Uiguri”. Autocastratosi sul piano dell’originalità
ideologica, Sofri è ridotto a copiare gli ordini di
servizio di Cia, Mossad, MI6 . E meno male che c’è un
Tribunale Penale Internazionale che incrimina esclusivamente
personaggi dalla pelle più scura e che non stanno alla
disciplina della Gestapo planetaria. Peccato che questa
benedetta polizia del mondo, dall’ “efficacia
universale” contro chi sfugge al brigantaggio di cui Sofri
è canarino, quel debosciato di Ban Ki Moon non sappia
metterla in piedi. Ma menomale – è questa è grossa –
che “Obama ha mostrato di stare dalla parte della
primavera nordafricana”. Di quella normalizzata dai
generali e fantocci USA-UE in Egitto e Tunisia. Mica
dell’altra, quella che l’Obama arabo e primaverile ha
lasciato e lascia triturare in Bahrein e Yemen, con migliaia
di morti, di cui ci si compiace, mentre si è goduto dei
diritti umani importati a Gaza da Piombo Fuso sulle ali dei
bombardieri e dei missili d’uranio e fosforo forniti dagli
Usa. E menomale che Sarkozy – e questa è ancora più
fetida – “forzò la mano a Lega Araba e ai liberatori e
salvatori dei diritti umani del Qatar e degli Emirati”,
peraltro impegnati a sterminare ribelli dalle loro parti,
“e proclamò l’impegno giacobino della Francia ovunque
siano minacciati la libertà dei popoli e la democrazia”.
Aspettiamo una prossima rettifica storica dell’eccidio
degli indiani d’America, inizio di un pallottoliere sul
cui il nostro vorrà calcolare i trionfi della democrazia
Usa.. Poi l’omuncolo si adira: “Ma come la Libia sì e
la Siria no?” Per favore, anche se non c’è il petrolio
(questa gli è sfuggita), “in Siria sì”. 20mila morti,
almeno, in Libia non bastano a questo botolo mannaro. Il
lugubre ruffiano, come ho detto, non si nega nulla e a forza
di “interposizione e prevenzione” da generalizzare (alla
jugoslava o irachena, 1.5 milioni di vittime dell’embargo)
arriva all’auspicio che lo consacra quanto da trent’anni
cerca di essere: al meglio un buffone di corte, al peggio un
bruffolo della metastasi del capitalismo impegnato
nell’estinzione planetaria: “l’intervento di terra,
fosse pure a costo della sporca nozione di guerra
mondiale”. Quel “sporca” era un atto dovuto
all’ipocrisia, che si sa madrina del vizio. Giacchè “
l’esclusione di ogni intervento di terra”, per
completare la mattanza, “è un feticcio ingiustificato e
anche odioso, espressione del culto imbelle dei nemici di
principio di ogni ingerenza”. Il sogno supremo di Sofri?
Un paese democratico e custode dei diritti umani come il
Qatar, generosamente precipitatosi in soccorso di una Libia
che detiene un petrolio assai più apprezzato del suo, che
non aspetta altro che installare sul trono della repubblica
rivoluzionaria l’erede dell’illuminato monarca Idris e
che dunque viva la vita felice dei sudditi di una famiglia
Khalifa Al Thani che dal 1824, per grazia di ottomani e
inglesi, ha potuto servire efficacemente i padroni coloniali
facendo dello Stato proprietà privata sua e dei soci di
maggioranza esteri e dei suoi abitanti un popolo disperso
che nome non ha. Per Sofri, l’emiro del Qatar è del mondo
arabo, anzi, del mondo, il battistrada. Ce n’è per
vomitare ancora. Quanto, tuttavia, qui si è rigurgitato di
sofrismo dovrebbe bastare per annichilire nella vergogna
anche l’ultimo stronzo nostalgico del “leader di Lotta
Continua”. Questo è il suo finale: “Siamo liberi,
abbiamo gridato noi nel 1861, o nel 1945… furono belle
giornate”. Già, per te che ti maceri nel rimpianto di non
aver potuto essere un Crispi, o un Junio Valerio Borghese
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