Le tasse in Italia: chi le paga e quanto...«GOLPE D’AGOSTO Lavoratori dipendenti e pensionati il ceto medio dei forzati delle tasse.
di lucillafiaccola1796
17 agosto 2011 19:58
http://www.lsmetropolis.org/2009/07/tasse-chi-paga-e-quanto/
....
Le tasse in Italia: chi le paga e quanto Lavoratori
dipendenti, imprenditori e lavoratori autonomi, pensionati.
Analisi su com’è ripartita la pressione fiscale In genere
si parla del fisco in relazione al suo peso sul Pil o sul
lavoro. Conoscere in maniera chiara e immediatamente
comprensibile quante tasse paga ognuna delle tre grandi
categorie di contribuenti: dipendenti, imprenditori-autonomi
e pensionati è impresa invece molto complessa.
Uno degli aspetti principali del patto sociale e
costituzionale: l’equità fiscale, è mimetizzato. Non
sfugge che questo oscuramento costituisce un problema per la
qualità della democrazia. Recentemente il Ministero del
Tesoro ha pubblicato per l’anno 2006 dati più dettagliati
sui redditi dichiarati e sull’Irpef pagata dai dipendenti
e dai pensionati. Sottraendo questa parte di Irpef dal
totale di quella pagata si possono calcolare redditi e
imposte degli imprenditori e autonomi. Possiamo usare quindi
quell’anno, il 2006, per cercare di capire il mistero di
quanto pagano lavoratori, padroni e pensionati. Pressione
fiscale e Irpef Primo aspetto: la pressione fiscale media
in relazione al Pil. Il Pil era 1479,981 miliardi. Le
imposte ammontarono a 624 mld di cui 220 mld di indirette,
213 mld dirette, 189 mld di contributi effettivi e
figurativi e 0,2 mld in conto capitale. Le imposte pesavano
quindi per il 42,1 % del Pil. Qui cominciano i problemi,
perché nel Pil l’Istat calcola una quota di economia
sommersa che nel 2006 stimava in 250 miliardi. Il Pil
dell’economia legale, quella su cui si pagano le tasse
dirette e i contributi, diventa 1230 miliardi e la pressione
fiscale cresce al 50,7%. Una pressione fiscale di livello
nord europeo (senza i benefici del sistema sociale svedese o
danese). Nei confronti internazionali questo dato è
importante perché l’Italia ha il primato del lavoro in
nero e questo significa una pressione fiscale maggiore sulle
persone che pagano rispetto a quella di altri Paesi. Secondo
aspetto: per calcolare quanto pagano i tre gruppi sociali
presi in considerazione occorre ricordare che le imposte
dirette non si pagano solo sui redditi da pensione o
generati nella produzione ma sul complesso dei redditi
individuali (terreni, immobili, pensioni di varia natura,
interessi, lavoro dipendente o autonomo, ecc…). I redditi
generati nella produzione secondo l’Istat nel 2006,
compreso sempre il nero, ammontavano a 608 miliardi di
redditi da lavoro dipendente, 293 miliardi da lavoro
autonomo e 102 miliardi da capitale (soprattutto dividendi e
interessi). Secondo i dati desunti dalle dichiarazioni
fiscali, invece, i redditi da lavoro indipendente erano solo
110 miliardi. Incrociando le valutazioni dell’Istat con le
dichiarazioni emerge un “nero” del 10% nelle
dichiarazioni dei dipendenti (sempre fatte dai loro datori
di lavoro) e il dato che il reddito attribuito dall’Istat
a piccoli padroni, quelli che occupano fino a 5 dipendenti,
o autonomi era il 266% del reddito da questi effettivamente
dichiarato al fisco (cioè due volte e mezzo). Passando dai
redditi primari generati dalla produzione a tutti i redditi
che ogni contribuente è tenuto a dichiarare (a parte 14,2
milioni di lavoratori dipendenti e pensionati che vivono
esclusivamente dei redditi da pensione e da lavoro): – i
redditi complessivi ai fini Irpef sono stati circa 741
miliardi, di questi 422 mld sono stati dichiarati dai
contribuenti con un reddito prevalente da lavoro dipendente,
246 mld da quelli con reddito prevalente da pensione e 72
mld da quelli per i quali prevale una attività economica.
Pensionati e lavoratori dipendenti dichiarano il 91,5% dei
redditi complessivi ai fini Irpef! -l’Irpef netta
ammontava a 146 mld, comprese le addizionali comunali e
regionali. I lavoratori dipendenti ne hanno pagati 88,5, i
pensionati 44,5. Per differenza dal totale deduciamo che
appena 13 mld sono stati pagati dagli indipendenti. Prima
conclusione: l’Irpef è pagata per il 60,6% dai
dipendenti, per il 30,4% dai pensionati e per il 9% da
imprenditori e autonomi. A proposito di contributi
Affrontiamo ora un altro grande capitolo: i contributi; dei
quali, per inciso, ritengo sbagliata l’omologazione alle
tasse, in quanto li considero una forma di ripartizione
solidaristica dei redditi tra generazioni o se preferiamo la
forma di risparmio più conveniente tra quelle offerte dal
mercato. Considerato che sono comunque inclusi nelle
imposte, è interessante notare che (basandoci ancora sui
dati Istat relativi al 2006) i contributi sociali
ammontavano a 189 mld, di cui 165 mld (87,3%) versati dai
lavoratori dipendenti e 23 mld (12,1%) dagli indipendenti.
Gli indipendenti versano 3 punti percentuali in più
rispetto all’Irpef perché ai soli fini contributivi sono
definiti per decreto dei redditi annuali minimi per ogni
categoria sociale e quindi è obbligatorio, ai fini del
riconoscimento, un versamento minimo per ogni giornata
lavorativa. La somma del gettito di Irpef e contributi è
344 mld. I lavoratori dipendenti hanno pagato 263,5 mld
(76,5%), gli indipendenti 36 mld (10,4%) e i pensionati (che
ovviamente non versano contributi) hanno pagato solo
l’Irpef e quindi 44,5 mld (12,9%). Le imposte indirette,
invece… Di difficile attribuzione alle categorie sociali
considerate la rispettiva quota di imposte indirette.
Quelle sui prodotti, (escludendo quindi Ici, Irap e imposta
sul registro, ecc…) ammontavano sempre nell’anno preso
in esame, il 2006, a circa 160 miliardi. Per calcolare la
parte attribuibile a ciascuno dei tre gruppi sociali,
occorre valutare la quantità dei loro consumi effettivi
sulla base dei redditi reali netti e non del solo
dichiarato, meno la quota di reddito risparmiata. Qui
vengono in aiuto i dati che Banca d’Italia pubblica
nell’indagine sulla ricchezza delle famiglie italiane, che
sono il vero attore della spesa. Possiamo stabilirne una
distribuzione proporzionale al reddito percepito dalle
diverse categorie sociali, anche se tutti convengono che gli
autonomi hanno una maggiore capacità di risparmio (37% dei
redditi secondo Banca d’Italia, contro il 20 dei
pensionati e il 25 dei dipendenti) e che gli indipendenti
scaricano parte dell’Iva. Secondo questa indagine i 10,8
milioni di famiglie con a capo un lavoratore dipendente nel
2006 hanno consumato 275,7 mld, i 9,23 milioni di famiglie
con a capo un pensionato o ritirato dal lavoro 179 mld e i
2,8 milioni di famiglie con a capo un imprenditore o un
autonomo 86 mld. Proporzionalmente a questa suddivisione dei
consumi, soprassedendo sul fatto che gli autonomi non pagano
una parte dell’Iva (auto, attrezzature, ecc.), si può
stimare che le imposte siano così distribuite: lavoratori
dipendenti 81,6 mld, pensionati 52,8 mld, imprenditori e
autonomi 25,6 miliardi. Tirando un po’ le somme A questo
punto possiamo calcolare la reale pressione fiscale e
contributiva sulle persone fisiche. Sul dichiarato: prelievo
complessivo (Irpef, contributi e imposte indirette):
lavoratori dipendenti 345 mld; pensionati 97,3; indipendenti
61,6 mld. Eppure gli indipendenti secondo Banca d’Italia
possedevano nel 2006 un reddito familiare superiore del 44%
a quello dei dipendenti, un reddito individuale superiore
del 48%, una ricchezza mediana superiore del 79% (quella
finanziaria superiore del 200%). Il 22% degli indipendenti
possiede patrimoni di oltre 500 mila euro contro il 7,4% dei
dipendenti (quasi tutti dirigenti). E si potrebbe
continuare. Le restanti principali imposte sono l’Ires,
l’Irap, l’Ici, le tasse sostitutive su dividendi e
interessi. L’Ires insiste sulle società di capitali e non
sulle persone fisiche, l’Irap origina, e corrisponde come
gettito, ai contributi sanitari – principalmente dei
lavoratori dipendenti e fino al 1996 valutati come prelievo
sui loro redditi – trasformati con destrezza in imposta
indiretta. Le imposte sostitutive sul capitale (dividendi,
interessi, ecc…) sono prevalentemente tasse sui conti
correnti (tassati al 27%) che posseggono l’89% delle
famiglie e sugli interessi del debito pubblico che (tolto
l’80% di essi in possesso di soggetti esteri e di banche)
sono prevalentemente in possesso di pensionati e dipendenti.
L’Ici nel 2006 era pagata anche sulla prima casa e quindi
incideva su tutte le categorie sociali. In conclusione:
lavoratori e pensionati pagano circa il 90% delle tasse.
Secondo l’Istat i redditi da lavoro dipendente lordi erano
invece solo il 60% dei redditi primari e il margine
operativo netto, cioè l’altro reddito primario da cui
originano tutti i redditi da capitale (gli interessi, le
rendite, i dividendi e gli utili) era il 40% dei redditi
primari. Con una tassazione meramente proporzionale il
gettito dovrebbe rispecchiare queste proporzioni. In
osservanza del dettato Costituzionale che invece prevede la
progressività, i redditi da capitale dovrebbero pagare
oltre il 50% delle imposte essendo questi redditi
concentrati nel 12,3% delle famiglie. In Italia quindi
lavoratori e pensionati mantegono la vita sociale e pubblica
del Paese e non riescono a risparmiare e spesso si
indebitano. L’altra classe sociale lucra i benefici
pubblici e intanto accumula patrimoni. Patrimoni che non
sono neanche tassati. Gli operai che votano Lega perché
pensano che le loro tasse vadano a Roma non si accorgono che
i soldi che Roma ruba dalle loro tasche li mette in quelle
di padroni e padroncini. Converrà che tornino a chiedersi
chi mangia alle loro spalle (sia nato sopra o sotto il Po
poco cambia). Uscendo dalle medie che oscurano i reali
rapporti di classe, la pressione fiscale sui redditi dei
dipendenti, compresa la parte in nero, è del 56,7%, quella
sugli imprenditori del 15,4%. Meditate, gente, meditate.
18/07/2009
http://triskel182.wordpress.com/2011/08/14/
Lavoratori-dipendenti-e-pensionati-il-ceto-medio-dei-forzati
-delle-tasse-maurizio-ricci/..
da La Repubblica del 14/08/2011 «GOLPE D’AGOSTO
Lavoratori dipendenti e pensionati il ceto medio dei forzati
delle tasse.
Solo 70mila autonomi dichiarano più di 90mila euro.
L´evasione distorce l´attendibilità dei dati sui redditi.
La vera piramide sociale del Paese non è quella delle
statistiche ufficiali. La ricchezza netta delle famiglie
italiane è pari, in media, a 153 mila euro. Nel 2010, in
Italia si sono vendute, fra fuoristrada e deluxe, un po´
meno di 350 mila vetture di grossa cilindrata. Chi paga? Il
conto della megastangata, servita in due razioni dal
governo, ricade in larga misura sui ceti medi e popolari.
Colpiti, a luglio, dai tagli sulle deduzioni fiscali, sulle
indennità assistenziali, sugli asili e gli altri servizi
che i Comuni, con i bilanci all´osso, saranno costretti a
ridurre. E, adesso, dai blocchi delle tredicesime e dai
licenziamenti facili. Ma, nella “Manovra 2?, fa capolino
l´intenzione di chiamare all´appello anche chi sta
all´altro capo della piramide sociale. Sui ricchi si
abbatte il rincaro delle tasse sulle cedole dei fondi e
delle obbligazioni, in parte compensata dalla minore
tassazione dei depositi bancari. E, soprattutto, il
contributo di solidarietà, rispettivamente del 5 e del 10
per cento, per i redditi superiori ai 90 mila e ai 150 mila
euro, lordi. Tremonti scommette di ricavare da questo
contributo 1 miliardo di euro l´anno. Su una manovra che
supera abbondantemente i 100 miliardi di euro su tre anni,
è un contributo limitato. Ma basta per dire che anche i
ricchi pagano. Di quali ricchi, però, stiamo parlando?
Secondo i dati del ministero dell´Economia, solo l´1,2 per
cento dei contribuenti dichiarava, nel 2009, un reddito
superiore a 90 mila euro. In sostanza, un po´ più di 500
mila persone. Mentre constatate, nello specchietto
retrovisore in autostrada, che quella è la seconda Mercedes
che vi sorpassa in pochi secondi, è probabile che vi
vengano dei dubbi. In effetti, nel 2010, in Italia si sono
vendute, grosso modo, fra fuoristrada e deluxe, un po´ meno
di 350 mila vetture di grossa cilindrata, quei bestioni che,
solo all´acquisto, costano lo stipendio netto di un anno
del più povero dei super-ricchi. Nel 2007, erano oltre 450
mila. Possibile che i 500 mila megacontribuenti si possano
permettere quasi una Mercedes nuova all´anno? In effetti,
secondo l´indagine campione della Banca d´Italia, i
capifamiglia italiani che guadagnavano più di 90 mila euro
l´anno (nel 2008) non sono l´1,2 per cento, ma il 2,5 per
cento del totale, per un reddito medio di 130 mila euro.
Insomma, un milione anziché 500 mila: il doppio. Ovvero, la
metà dei super-ricchi italiani risulta renitente alla leva
Tremonti. Per capire chi sono i renitenti, cominciamo a
vedere chi è che risulta straricco, anche per il fisco.
Secondo i dati elaborati da Manageritalia, per conto della
Cida, il sindacato dei dirigenti aziendali, l´86 per cento
dei contribuenti che denunciano più di 90 mila euro l´anno
sono lavoratori dipendenti e pensionati. Nello specifico,
circa 300 mila dirigenti e quasi 140 mila pensionati. Sono i
forzati del fisco, quelli chiamati a pagare sempre, senza se
e senza ma, sulla propria busta paga. Accanto a loro, in
questo esercito di spremuti dall´erario che si prepara ad
una nuova torchiatura, un manipolo di avvocati, architetti,
farmacisti, gioiellieri, notai, negozianti e pizzaroli: in
tutto, imprenditori e lavoratori autonomi sono 60-70 mila,
gli abitanti di una media città di provincia. Questa
ripartizione non è del tutto irrealistica. L´Istat
censisce 17 milioni di lavoratori dipendenti e quasi 6
milioni di indipendenti: poco più di un terzo. Ma, a
inquinare il quadro, nelle tabelle dell´istituto di
statistica sugli indipendenti ci sono i plotoni di co. co.
co e di bancarellari ambulanti stranieri. Per stare ai dati
della Banca d´Italia, i capifamiglia imprenditori o
autonomi sono il 12,5 per cento del totale. A occhio, a
prima vista, con i dati del fisco ci siamo. Ma questo
presuppone che i lavoratori autonomi si spalmino nella
piramide dei redditi, più o meno nella stessa proporzione,
dalla base al vertice. Questo, in effetti, risulta da quanto
hanno dichiarato, ad esempio, al fisco nel 2009. A parte
notai (oltre 400 mila euro) e farmacisti (che trattano con
la sanità pubblica: 126 mila euro), i medici dichiarano, in
media, meno di 60 mila euro (lorde). I commercialisti meno
di 50 mila. I dentisti meno di 45 mila, appena più degli
avvocati. Gli assicuratori circa 30 mila (sempre lorde).
Architetti e geometri fra 25 e 28 mila, poco più di mille
euro nette al mese. I concessionari di automobili 18.400
euro l´anno, più o meno quanto un maestro elementare.
Sempre più, comunque, dei gioiellieri, costretti a sbarcare
il lunario con un reddito medio al di sotto dei 16 mila euro
l´anno, la busta paga di un precario. A guardare lo studio,
i vestiti, l´auto del vostro dentista, vi vengono dei
dubbi. Anche alla Banca d´Italia. Secondo i calcoli di via
Nazionale, infatti, imprenditori, liberi professionisti,
commercianti, non si distribuiscono affatto, nella stessa
proporzione, lungo la piramide dei redditi. Al contrario, il
56 per cento degli imprenditori e dei liberi professionisti,
un terzo dei commercianti e degli artigiani rientra nel 20
per cento più ricco del paese. Del resto, sono stati loro
ad essere premiati dal lungo ristagno che, dal 1993, la data
dell´ultima grande stangata di governo, imprigiona
l´economia italiana. Nei 15 anni dal 1993 al 2008, prima,
cioè, dell´ultima crisi, il reddito delle famiglie
italiane, al netto dell´inflazione, è salito del 12 per
cento, meno dell´1 per cento l´anno. Ma non è andata
nello stesso modo per tutti, forse a dimostrare che le
stangate non lasciano gli stessi segni a chiunque. In questi
15 anni, il reddito medio dei lavoratori dipendenti è
salito, senza contare l´inflazione, del 4 per cento. Di
fatto, le buste paga sono rimaste, più o meno, più o meno,
quelle dei tempi di Tangentopoli e del governo Amato. Al
contrario, i redditi di imprenditori, liberi professionisti,
commercianti e artigiani sono arrivati a gonfiarsi, anche
nonostante la brusca caduta degli ultimi anni, del 25 per
cento. In soldoni, tolta l´inflazione, la busta paga
dell´impiegato, fra il 1993 e il 2008, è passata da 1.000
a 1.040 euro. Il compenso dell´idraulico da 1.000 euro a
1.250. Nulla di tutto ciò, a quanto pare, è noto al fisco.
Assai più candidi con gli intervistatori della Banca
d´Italia di quanto siano con gli agenti delle Entrate, gli
stessi interessati, tratteggiando i propri redditi,
disegnano una piramide sociale in cui chi non dipende dalla
busta paga tende ad addensarsi nelle fasce alte. Solo il 10
per cento dei lavoratori dipendenti dichiara di guadagnare
più di 60 mila euro l´anno. Mentre lo dice (alla Banca
d´Italia) il 25 per cento dei lavoratori autonomi e
indipendenti. Ad un risultato analogo si arriva se, invece
del reddito, si usa un parametro assai più efficace per
disegnare la piramide sociale italiana, al di là della
nebbia delle denunce dei redditi: la ricchezza, ovvero il
reddito accumulato negli anni. L´Italia vive, infatti, la
singolare contraddizione di essere, sulla base dei dati
ufficiali, un paese ricco, con redditi bassi. La ricchezza
netta delle famiglie italiane è pari al 5,7 per cento della
ricchezza mondiale, mentre siamo solo il 3 per cento del Pil
e l´1 per cento della popolazione globale. E´ una
ricchezza media, naturalmente, ma il dato proietta, in tempi
di discussione sul declino nazionale, un paradosso. Nessun
paese sviluppato al mondo è così ricco, rispetto al
reddito disponibile: siamo otto volte più ricchi di quanto
riusciamo a produrre in un anno. Negli Stati Uniti il
rapporto è 5 a 1. Vicino ai nostri livelli arriva solo la
Gran Bretagna. Una parte cospicua di questi soldi è
gelosamente custodita all´estero: 150 miliardi di euro,
secondo gli ultimi calcoli di Via Nazionale, in barba allo
scudo fiscale Tremonti. Il resto, in case e in titoli, è
distribuito in Italia secondo uno schema facilmente
ricostruibile. La ricchezza netta delle famiglie italiane è
pari, in media, a 153 mila euro. La ricchezza media di un
lavoratore dipendente è 122 mila euro, quella di un
lavoratore autonomo, imprenditore o libero professionista,
è 290 mila. Dai dati della Banca d´Italia si ricava,
dunque, chi sarebbe stato la vittima di una imposta
patrimoniale, di cui si è a lungo parlato. Solo il 6,5 per
cento dei lavoratori dipendenti dispone di un patrimonio,
immobili compresi, superiore ai 500 mila euro. Mentre la
quota sale al 25 per cento per imprenditori e liberi e
professionisti. Quanto alle seconde case che vedete, ogni
mattina, dalla spiaggia: ci sono, statisticamente, due
possibilità contro una che siano di un avvocato o di un
droghiere, piuttosto che di un impiegato.
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